Le fratture sistemiche del Medio Oriente

Giovedì 9 aprile 2020

Intervento di Alessandro Quarenghi al corso di geopolitica Fabula Mundi Darfo Boario Terme, 20 febbraio 2020

Intervento al corso di geopolitica Fabula Mundi
Darfo Boario Terme, 20 febbraio 2020
Alessandro Quarenghi, Università Cattolica del Sacro Cuore

 Il Medio Oriente è una regione relativamente recente (il suo stesso nome inizia ad essere utilizzato, fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento), politicamente risalente agli anni successivi alla Prima guerra mondiale. Da quel tempo è un sistema politico che, nella creazione, costruzione ed evoluzione dell’organizzazione politica, è stato molto influenzato dall’esterno, in particolar modo dall’Occidente; presenta un’elevata eterogeneità culturale, etnica, religiosa, e identitaria, parallelamente a nazioni e stati relativamente deboli; infine, è caratterizzato da una pluralità di fratture intra-statali, tran-statali e interstatali.

 

Dal punto di vista sistemico, il Medio Oriente è tradizionalmente un sistema di stati caratterizzato da un ordine d’equilibrio di potenza multipolare che, a caratteristiche tradizionali come la presenza di grandi potenze che si contendono sfere d’influenza tramite modalità più o meno conflittuali, ne affianca altre più specifiche: in particolare, è un sistema disomogeneo, cioè i cui stati sono costruiti in base a valori e principi diversi, soggetto all’influenza esterna, e in cui forme di governo autoritarie sembrano essere particolarmente resistenti. L’effetto cumulativo di queste specificità è quello di costruire un equilibro di potenza mal funzionante. La questione è importante, perché più un equilibrio di potenza funziona male più il tasso di conflittualità è elevato, cioè maggiore è il numero di morti e sofferenze che il sistema produce.
 
Nel XXI Secolo il sistema di stati mediorientale è toccato da tre grandi questioni che ne influenzano i meccanismi di funzionamento: la transizionale globale di potenza, le ‘rivolte civili’, e il revisionismo degli Stati Uniti.
 
Il primo è un fenomeno globale: un processo di ridistribuzione della potenza, la quale sta abbandonando con sempre maggior velocità gli Stati Uniti e l’Occidente muovendo verso Est. Questo modifica l’ordine internazionale, da un equilibrio di potenza unipolare (cioè con preponderanza di potenza degli Stati Uniti, e dei suoi alleati occidentali) a un nuovo e originale multipolarismo. Le sue caratteristiche e modalità di funzionamento non sono ancora chiaramente distinguibili; nonostante questo, è facilmente prevedibile che sarà caratterizzato da una maggiore disomogeneità valoriale rispetto all’ordine attuale, si organizzerà in sfere di influenza, le istituzioni internazionali saranno nuove o le attuali dovranno essere modificate, e ci saranno anche maggiori conflitti, probabilmente di tipo militare ma non obbligatoriamente. In ogni caso, quando l’attuale transizione sarà conclusa avremo un sistema internazionale che funzionerà in modo diverso dall’attuale. Questa transizione di potenza internazionale si riflette nei sottosistemi del sistema stesso: in altre parole, il Medio Oriente, in quanto sottosistema, è sensibile alle trasformazioni in atto nel sistema internazionale.
 
La seconda questione è invece più regionale: le ‘rivolte civili’, più comunemente conosciute come ‘primavere arabe’. In verità, il fenomeno non è circoscrivibile nel solo mondo arabo, ma è più ampio geograficamente e temporalmente rispetto alla narrazione giornalistica, che ne individua l’origine nella Tunisia del dicembre 2010. In aggiunta a fattori di breve periodo (internazionali, regionali, e locali), alcune questioni di lungo periodo hanno determinato la nascita del fenomeno: innanzitutto, la distribuzione demografica che caratterizza il Medio Oriente, una regione in cui più del 60% della popolazione ha meno di 35 anni d’età (questa fascia di popolazione presenta un potenziale movimentista superiore rispetto alle altre). In secondo luogo, la presenza di una pluralità di proposte su quale debba essere la relazione fra religione (Islam) e politica, cioè su come debba essere strutturato l’ordine politico. La questione, che non trova ancora una soluzione, riflette una ricerca di pensiero ormai centenaria ma che è geopoliticamente esplosa con la Rivoluzione Iraniana del 1979. Attualmente, il Medio Oriente è scosso dal conflitto fra una pluralità di proposte che dividono non solo il mondo islamico ma anche e forse soprattutto quello sunnita, fra conservatori, islamisti, jihadisti, salafiti, wahhabiti (violenti e non violenti, ecc.). In terzo luogo, l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione, che riarticolano la politica influenzando i processi di legittimazione e i rapporti fra stato e società. Infine, la debolezza delle ideologie statali, il cui processo di indebolimento risale agli anni Settanta.
 
La terza questione è il cambiamento di politica mediorientale degli Stati Uniti di questo secolo. Da politiche conservatrici, cioè tendenti a mantenere stabile il Medio Oriente, gli Stati Uniti adottano bruscamente politiche revisioniste, cioè tendenti ad altri scopi, con evidenti ripercussioni sulla stabilità del sistema mediorientale. A prescindere dalle specifiche politiche attuate dai tre presidenti di questo secolo (George W. Bush, Barack Obama, Donald Trump), la riduzione del ruolo statunitense nella stabilizzazione sistemica, o forse il suo nuovo ruolo come creatore di instabilità aumenta il cattivo funzionamento dell’ordine mediorientale.
 
A queste tre grandi questioni, negli ultimi anni se ne sono aggiunte altre due. La prima, legata alla transizione internazionale di potenza, è l’aumento del ruolo giocato dalle potenze asiatiche all’interno del Medio Oriente, in particolare Russia e Cina. Il progetto della nuova Via della Seta cinese, che tocca il Medio Oriente sia nel tracciato marittimo che in quello terreste, ha accelerato bruscamente il riorientamento geoeconomico e, seppur al momento in misura minore, geopolitico verso Est di molti stati mediorientali. La seconda, invece, è relativa alla scoperta di ingenti giacimenti di gas nel Mediterraneo Orientale, il cui sfruttamento causa frizioni politiche incrementali fra gli stati della regione e sembra potenzialmente in grado di influenzare i rapporti di potenza regionali.
 
L’effetto complessivo delle questioni sopra brevemente accennate non è stato quello di migliorare i meccanismi di funzionamento del sistema di stati del Medio Oriente, ma al contrario di degradarli ulteriormente: l’ordine rimane un multipolarismo disomogeneo, influenzato dalle potenze esterne, le forme di stato rimangono tenacemente autoritarie ma in stati più deboli e fragili rispetto al secolo scorso. La degradazione dei meccanismi di funzionamento dell’ordine regionale è attualmente così elevata che esiste un rischio reale di guerra diretta fra potenze regionali: la conflittualità potrebbe, in altre parole, non essere contenuta in conflitti fra milizie locali sostenute da potenze rivali (i conflitti in Siria, Yemen, Libia, seppur diversi fra loro, sono fondamentalmente di questo tipo), ma costringere al conflitto diretto fra potenze mediorientali.
 
 
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