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Sabato 9 luglio 2011

Bresciaoggi: tra presente e passato il dibattito alla Fest'Acli, con il presidente Andrea Olivero

Agnese Moro prende appunti, forse per rafforzare con l'inchiostro quella «memoria» storica messa al centro della tavola rotonda. Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria, rievoca nomi e date simbolo della strategia della tensione. Accanto a lui Franco La Torre (figlio del parlamentare siciliano ucciso nel 1982 dalla mafia) fa scorrere l'attenzione sull'asse Nord-Sud quasi a confondere le coordinate. Perchè c'è un filo che lega i protagonisti del dibattito organizzato per la Festa acli 2011, intitolato «Italiani si diventa»: tre testimoni per altrettanti momenti cruciali della storia italiana. Ma è anche il filo della violenza: che nel '74, con la strage di piazza Loggia, si declina nel terrorismo nero, per tingersi di rosso con l'assassinio di Moro nel '78 o vestire i panni di Cosa Nostra nell'attentato a Pio La Torre.
PARTE DALL'ITALIA di quegli anni il dibattito, teso a fissare il prima per imparare a costruire il poi. Marcando differenze e tratti comuni al presente. Come quel «bisogno di trasformazione e partecipazione civile che caratterizzava il '74», racconta Milani, parlando di una «società in subbuglio che pretendeva cambiamenti». Ieri come oggi, nel magma dei grandi cambiamenti internazionali, allora erano il golpe cileno e il crollo dei regimi in Grecia e in Spagna, oggi sono le rivolte in Nordafrica. Senza dimenticare la crisi economica. «Perchè sarà proprio la grande spinta popolare a bloccare quelle terroristiche - spiega Manlio -, nonostante, ancora pesi che il disegno eversivo non trovasse responsabilità certe, anche per i silenzi di rappresentanti istituzionali», tali da generare «una forte sfiducia popolare barattata con la violenza per cambiare le cose. E ne paghiamo lo scotto».
PROPRIO la «partecipazione» fu poi «il pallino» di Aldo Moro, «perchè mio padre sognava l'Italia che sognano ancora gli italiani: basata su una Costituzione nata dal basso», sottolinea la figlia Agnese, che focalizza sul concetto di «democrazia repubblicana, come recitano i primi articoli della Carta: lì erano le speranze di mio padre, per un Paese in cui al primo posto ci siano le persone. Per una nazione in cui la democrazia chiama tutti alla responsabilità».
Ma dare il potere a chi non l'ha mai avuto, dice Moro, «scatena reazioni da stravolegere la situazione: ci riuscirono, nel'78, ma la sovranità popolare è un patrimonio indelebile. Che. a cicli, ancora tentiamo di riprenderci. E costa tempo e fatica: per questo la violenza non funziona». Funziona, invece, la memoria, perchè per Agnese Moro, «abbiamo ferite a cui non riusciamo a dare un senso: allora fare memoria non significa anche capire chi siamo».
Una presa di coscienza, quindi, come quella che Pio La Torre mise in atto in politica, nel Pci, nel contrasto alla mafia. A lui si devono il reato di associazione mafiosa o la confisca dei beni alle cosche, entrati in vigore solo dopo la sua morte. Ma a chi gli chiede se l'Italia possa sconfiggere la mafia, il figlio Franco risponde: «Certo. Falcone diceva sempre che ha un inizio e avrà una fine. Il problema è capire quando. E il quando dipende da noi». E per La Torre non si può che partire dalla consapevolezza. «perchè la differenza sta nel prendere atto che le mafie sono cambiate: controllano il territorio in cui operano ed entrano nei processi decisionali. Fino a ledere i dirtti fondamentali. Se chiederemo ai nostri rappresentanti di renderci conto su questo, allora qualcosa cambierà davvero».
Ed è proprio sull'importanza dei diritti che punta Andrea Olivero, presidente nazionale acli, per rinnovare il ruolo dell'associazione come «ponte tra cittadini e istituzioni», per costruire una «democrazia sociale attraverso forme di partecipazione che, dal basso, cambino in modo strutturale le regole della politica partendo dall'impegno civile» e guardando ai traguardi del passato come democrazia e libertà, dice «La storia non ci mette al sicuro, per possederli dobbiamo riconquistarle».

Mara Rodella

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