Immigrazione: nuove parole per nuovi orizzonti

Lunedì 2 ottobre 2023

Una riflessione delle Acli bresciane sul tema dell'immigrazione

In questi mesi il tema immigrazione è entrato con forza nel dibattito pubblico, ma, secondo le Acli bresciane, non è stato analizzato né con le parole, né con modalità appropriate: da un lato infatti è stato affrontato quasi esclusivamente in chiave emergenziale (mentre ormai sarebbe da affrontare come una questione strutturale), dall’altro è stato sempre trattato con un lessico e un vocabolario che reificano gli esseri umani. Questo è accaduto e accade più sul piano nazionale che su quello locale poiché Brescia, in tema di accoglienza e immigrazione, si è sempre positivamente distinta. Ma resta il fatto che la questione è governata da leggi nazionali, che in questo momento mettono il freno anche alle virtuose iniziative locali che si scontrano con un’autonomia, e con delle risorse, limitate, nonostante l’impegno di certe amministrazioni ed enti locali.

In particolare, come ha fatto di recente anche il nostro vescovo Monsignor Pierantonio Tremolada, “ricordiamo che immigrazione vuol dire donne e uomini, bambine e bambini, vite, quindi, esseri umani e non pacchi in transito né mere risorse lavorative. Persone, non oggetti da collocare - sottolinea il nostro presidente Pierangelo Milesi che pone l’accento su due questioni specifiche – cosiddetta emergenza sbarchi e forme di (non) accoglienza e, dall’altro, la vera emergenza in tema di immigrazione, ovvero la vita quotidiana, resa molto complicata dai tempi infiniti di attesa dei documenti essenziali per vivere nel nostro Paese”.
Per quel che riguarda l’accoglienza, la legge 50, già decreto Cutro, ha duramente colpito il sistema della micro-accoglienza diffusa, il Sai, che in 20 anni ha dimostrato di essere molto efficace nell’offrire percorsi di autonomia alle persone arrivate e quindi poterle inserire all’interno della società, facendole diventare delle risorse per sé stessi ma anche per la comunità ospitante. Tale nuova legge stabilisce che i richiedenti asilo non vengano più presi in carico da un sistema di accoglienza incentrato su progetti territoriali dei Comuni, ma inviati nei Centri di accoglienza straordinari, i Cas: grandi strutture che non prevedono più di offrire servizi essenziali come l’alfabetizzazione, l’assistenza psicologica e quella legale. 

Dal 22 settembre è entrato in vigore un ulteriore decreto molto discutibile secondo cui i richiedenti asilo che non vorranno essere rinchiusi in un Cpr dovranno pagare una sorta di cauzione di 4.938 euro e poi dimostrare la “disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale”, riporta il decreto, e della “somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi”. E per chi quei soldi non li ha, si aprono le porte dei Cpr, strutture disumane e lesive della dignità. Le Acli non possono restare indifferenti a questo ennesimo attacco ai poveri, condannato dallo stesso Papa Francesco durante il suo recente viaggio a Marsiglia in occasione di “Rencontres Méditerranéennes”.
Ma non c’è solo l’accoglienza in emergenza, anzi: i problemi sono anche, anzi, soprattutto, nell’ordinarietà della vita quotidiana delle persone che hanno scelto di portare avanti qui il loro progetto di vita. Progetto intralciato da problemi concreti e all’ordine del giorno: attese insostenibili per i permessi di soggiorno (primo rilascio e rinnovi) e per i ricongiungimenti familiari, come ammette la stessa Questura di Brescia, che conferma lo scenario denunciato dagli immigrati e dalle associazioni, come la nostra, a loro vicine: almeno 10 mesi solo per avere l’appuntamento per la raccolta delle impronte digitali e delle foto segnaletiche, altrettanti per avere il documento.
Anche per il ricongiungimento familiare la situazione è drammatica, poichè sono previsti minimo due anni di attesa: unoper il rilascio del nulla osta e un altro per fissare un appuntamento con l’ambasciata al fine di ottenere il visto.

La conferma arriva pure dall’attività dei nostri servizi: per completare l’intero iter i tempi medi di attesa delle persone da noi seguite sono di 15/16 mesi, tant’è che il nostro invito è sempre quello di iniziare le pratiche di rinnovo anche 9/10 mesi prima della scadenza del permesso.

Non avere documenti in regola, e, lo ribadiamo, non per “responsabilità” della persona ma del sistema legislativo e burocratico, significa avere difficoltà ovunque: nel mondo della lavoro, in quello della scuola, in quello sanitario e pure in quello abitativo. A Brescia infatti c’è un altro, grosso, problema pratico: il documento per attestare l’idoneità alloggiativa, che serve per la carta di soggiorno, per il ricongiungimento familiare, per il contratto di soggiorno per lavoro subordinato, nonché per l’ingresso per lavoro autonomo; il rilascio di tale documento non è più un servizio offerto dal Comune (a prezzi quindi calmierati) bensì è stato privatizzato, con un aumento esponenziale dei costi. Il nostro Patronato, conoscendo le parcelle indicate sui tabellari dei vari studi di geometri e professionisti del settore edile, segnala una media di 300 euro, con tariffe che però oscillano molto, addirittura da 120 a 900 euro.

Così non va bene, serve un netto cambio di rotta che deve arrivare in primis dal nostro governo, al quale torniamo a chiedere rispetto e attuazione piena dei valori di solidarietà e uguaglianza della nostra Costituzione.


 
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