Il contributo delle ACLI lombarde alle elezioni regionali 2023

Giovedì 26 gennaio 2023

Orizzonti e impegni per la piena realizzazione delle persone dentro le comunità

Contributo delle ACLI lombarde alle elezioni regionali 2023


Introduzione – Fermare il declino e promuovere i diritti sociali

La Lombardia ha il PIL di un medio Stato europeo. Eppure, tutta questa forza economica e finanziaria non dà luogo ad un modello virtuoso.

La Lombardia non è un modello virtuoso dal punto di vista politico, perché il livello regionale si limita a replicare le dinamiche nazionali senza arricchirle del patrimonio di idee e di esperienze che qui sono nate, a partire dalla straordinaria forza del cattolicesimo democratico. La Lombardia non è un modello virtuoso dal punto di vista economico, perché fatica a tenere insieme e a sintetizzare in un approccio semplice e disponibile a tutti i distretti la necessità di uno sviluppo pienamente inclusivo, innovativo e sostenibile. In realtà la Lombardia è il luogo in cui un modello così avrebbe tutte le possibilità di manifestarsi, come dimostrano alcune esperienze territoriali. La Lombardia rimane null'altro che una regione, certamente più grande e più ricca di tante altre, ma incapace di offrire una linea allo sviluppo italiano ed europeo, come invece meriterebbe e potrebbe.


La Lombardia ha uno straordinario capitale economico, si pensi solo alle imprese italiane e straniere e di stranieri, alla capacità di innovare e di finanziare l'innovazione e l'industria. È in questa regione che si riconosce la forza economica che rende la Lombardia uno dei “quattro motori europei”. Ricordiamo infatti che le regioni più industrializzate in Europa sono quattro: il Baden-Württemberg (Ger), la Catalogna (Spa), l'Alvernia–Rodano-Alpi (Fra) e appunto la Lombardia: tra questi quattro motori vi è anche un accordo di cooperazione economica e sociale (il Memorandum) per collaborare in tema di scienza, ricerca, istruzione, ambiente, cultura.


La Lombardia ha anche uno straordinario capitale culturale, si pensi alle università pubbliche e private che qui eccellono, alla formazione professionale alta e bassa, alla ricerca tecnologica e all'innovazione. È un tipo di capitale che vive non per una speculazione teorica ma grazie alla capacità di triangolare con il mercato e l'istituzione pubblica (si pensi alle Camere di commercio, alle fondazioni bancarie). In Lombardia la cultura e lo sviluppo non sono scissi, perché la laboriosità rende concrete anche le cose più astratte.


La Lombardia dispone di un altrettanto straordinario capitale etico-sociale, si pensi solo alla ricchezza di gruppi, associazioni, imprese cooperative, parrocchie, comunità, fondazioni e comitati che animano la società civile dal punto di vista culturale, economico, politico, religioso, ecumenico. Qui la “nostra Chiesa” ha generato esperienze importanti anche sul piano dell'ecumenismo partecipando alla generale ricerca di senso che emerge sempre più dalle nostre città. La dimensione sociale della Lombardia è fertile e generosa.


E dunque: se le dimensioni economiche, politiche, culturali, etico-sociali sono tutte positive si riuscirà a sintetizzarle in un modello di sviluppo sostenibile ed equo? Questa è la grande sfida che ci si prospetta nella fase finale di una pandemia e nella fase iniziale di una ripartenza, che non può essere reale senza la dimensione ecologica.


Non si tratta solo di una questione materiale, per quanto la Lombardia abbia anche una straordinaria ricchezza naturale, si pensi ai laghi, i fiumi, i monti, la pianura: tutti ambiti da tutelare. Ma, sulla scorta del pensiero di Papa Francesco, ci sta a cuore quell'ecologia integrale che tiene insieme le diverse dimensioni del vivere nello stesso ecosistema ambientale, economico e sociale.


È in questo ecosistema che vivono dieci milioni di cittadini. Anche questa è una grande ricchezza demografica per quantità e per qualità: molte nazionalità straniere arricchiscono la nostra cultura e l'economia senza creare alcuno scontro sociale.


I temi, per una regione così, sarebbero molti, tutti legati dalla necessità di riconoscersi dentro a un grande processo di transizione: da quella ecologica a quella digitale, da quella demografica a quella sociale. Pur focalizzando in questo contributo l’attenzione su tre ambiti prioritari, riteniamo importante portare dentro la riflessione generale anche un contributo rispetto ad alcune aree di particolare interesse per i cittadini lombardi:

-       la mobilità, da considerare all’interno di un modello di equo e sostenibile, potenziando il trasporto pubblico locale, aumentandone la qualità e la capacità recettiva, la frequenza, le possibilità di connessione intermodale, l’utilizzo di servizi per la mobilità elettrica. Una specifica attenzione deve essere rivolta a quei soggetti a “mobilità obbligata” (studenti e lavoratori) prevedendo tariffe sostenibili per i ceti medi e popolari.

-       l’abitare, riconoscendo la casa come un diritto sociale fondamentale: nella regione più ricca del Paese i ceti meno abbienti e i giovani faticano a trovare soluzioni abitative adeguate e dignitose. Va dunque prevista una vera politica sull’abitare, a partire da una riflessione in materia di housing sociale ed edilizia pubblica e da un diverso modello di gestione – più territoriale - del patrimonio esistente e impegnandosi nei progetti di rigenerazione urbana, a partire dalle periferie.

-       la conversione ecologica dell’agricoltura lombarda, contrastando il fenomeno del consumo di suolo fertile, proteggendo e valorizzando i diversi ecosistemi della nostra regione, puntando a migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua, investendo sui parchi, sulla prevenzione dei dissesti idrogeologici. Le ingenti risorse europee che vengono gestite dalla Lombardia devono essere riorientate per sviluppare il settore agricolo in maniera sempre più integrata, premiando l’agricoltura biologica, e intervenendo sugli allevamenti intensivi, che dovranno progressivamente lasciare il passo a modalità più rispettose del benessere animale.

-       le politiche di accoglienza dei migranti, di nuovi cittadini che contribuiscano al rafforzamento del tessuto sociale ed economico, vedendo il pieno riconoscimento della propria dignità e dei propri diritti, accompagnandoli in percorsi di inclusione che siano orientati all’autonomia attraverso percorsi di formazione e inserimento lavorativo, garantendo soprattutto a chi proviene da situazioni di conflitto e violenza tutto il sostegno umanitario necessario per ricostruire un proprio progetto di futuro.

-       le politiche in favore delle famiglie, investendo in servizi e non solo in bonus, promuovendo misure di sostegno alla genitorialità e di conciliazione reale degli impegni di cura con quelli legati al lavoro.

 

In termini generali è urgente provare a immaginare un approdo, un traguardo: un modello capace di fermare il declino. Lasciare che le cose vadano avanti “per via amministrativa” ci pare una abdicazione, una rinuncia, specie di fronte all’amara constatazione che spesso non vi è un gruppo dirigente adeguatamente formato e preparato a gestire le sfide e le complessità di questo nostro tempo. La Lombardia ha la possibilità di giocare un ruolo importantissimo nel panorama nazionale e internazionale, investendo i propri talenti, riconoscendoli non solo in termini economici ma più integrali. Vi sono davanti alcune sfide concrete, dal PNRR alle Olimpiadi invernali, che – peraltro - ci consentono anche di immaginare un nuovo modello di trasparenza amministrativa, nell'eterna lotta contro le mafie e la criminalità. A noi queste sfide interessano oltre la dimensione amministrativa o comunicativa: come reale aumento delle opportunità per ciascuno, per costruire una regione – un “motore” - a trazione di ecologia integrale.

 

 


 

Una sanità regionale che rispetti il principio universalistico su cui si basa il Sistema Sanitario Nazionale, efficace, efficiente ed equa, capace di adempiere il mandato Costituzionale: la salute come diritto dell’individuo e interesse della collettività e la garanzia di cura anche dei più vulnerabili

 

Dopo  28 anni di parole d’ordine, quali la “libertà di scelta dell’erogatore dei servizi” e la “parità tra  pubblico – privato”, che si sono nei fatti rivelate negative in termini di impatto sulla salute delle cittadine e cittadini lombardi, mortificando e depauperando il Servizio Sanitario Nazionale, oggi riteniamo che nei prossimi cinque anni un obiettivo debba essere prioritario: garantire l’accesso e la presa in carico all’offerta sanitaria e sociosanitaria regionale a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro capacità reddituale e di spesa, situazione personale e familiare, collocazione territoriale.


Come sappiamo, oggi questo accesso è garantito in termini puramente formali, mentre la realtà è quella di una progressiva riduzione del numero di Medici di Medina Generale  (medici di base) divenuti insufficienti  o oberati da pazienti e pratiche burocratiche; del peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori sanitari e sociosanitari in Ospedali e Pronto Soccorso che favorisce una continua fuga dal servizio pubblico, in particolare – ma non solo – nei territori di confine con la Svizzera; liste di attesa infinite per prestazioni in regime di SSN che diventano improvvisamente inesistenti qualora si decida di ricorrere all’acquisto diretto o tramite welfare assicurativo: un’ambiguità non più accettabile nei sistemi di prenotazione delle prestazioni; una spesa a carico del paziente  out of pocket pro capite tra le più in alte in Italia; il diffuso ricorso alla sanità privata anche per piccole prestazioni; la grave carenza della medicina territoriale e in particolare l’assenza di quella preventiva, come hanno fatto emergere a maggior ragione questi anni pandemici. Il tutto, in sintesi, si traduce in fortissime e crescenti disuguaglianze nell’accesso e godimento dei diritti di salute da parte della popolazione lombarda, generando un fenomeno di povertà sanitaria che acuisce le altre forme di povertà presenti in modo sempre più diffuso nella nostra regione.


Questa situazione, non più accettabile, è confermata anche dall’analisi condotta dal nostro Osservatorio su Vulnerabilità e Resilienza - OVeR, promosso dalle ACLI Regionali, FAP, IRS, in collaborazione con i nostri Servizi Fiscali e di Patronato. Fra le varie evidenze emerse dall’analisi dei dichiarativi fiscali di quasi mezzo milione di cittadini lombardi (un report completo delle attività di OVeR verrà presentato nella prossima primavera) notiamo una forte disuguaglianza nelle possibilità di accesso al sistema sanitario e un’incidenza marcatamente più forte della spesa sanitaria in quelle fasce di popolazione più fragili ed esposte al rischio di povertà. Se la spesa dichiarata è simile, intorno ai 1.300€, il peso sul reddito delle spese sanitarie è profondamente diverso: 3 volte maggiore per le fasce più vulnerabili (12%) rispetto a quelle con condizioni reddituali più “normali” (4%).


Se l’obiettivo generale è quello di eliminare queste disuguaglianze in ambito sanitario e sociosanitario, ne derivano immediatamente tre questioni da porre in maniera netta, decisa, priva di ambiguità:

  1. un ritorno alla centralità della del Sistema Sanitario Pubblico, superando il principio della concorrenza tra prestazioni pubbliche e private e cancellando il principio di equivalenza tra strutture pubbliche e private previsto dalla L. r. 22/2021 , predisponendo una diversa allocazione delle risorse che metta nelle condizioni la sanità pubblica di operare effettivamente per la salute e il benessere dei cittadini lombardi;
  2. il riequilibrio tra sanità territoriale e sistema ospedaliero, che passa anche qui, inevitabilmente, da una diversa gestione e ripartizione delle risorse, così come da una maggiore coerenza e aderenza tra offerta e bisogni di salute della popolazione, per cui la sanità regionale deve in primis essere programmata e finanziata in base ai bisogni dei cittadini lombardi, non sulle “opportunità di business” del turismo sanitario;
  3. la necessità di un approccio multidimensionale, nella consapevolezza che i bisogni di salute non sono esclusivamente di natura sanitaria, ma anche socio-sanitaria, assistenziale, sociale, educativa ed è quindi essenziale procedere a una reale integrazione tra le diverse filiere di servizio sia in termini “alti” di governance, sia in termini operativi, di effettiva collaborazione, valutazione, presa in carico, accompagnamento condiviso recuperando e rafforzando il ruolo degli enti locali territoriali.


Va abbandonata con decisione l’idea che la “libertà di scelta” equivalga per le famiglie lombarde il dover comporre faticosamente, in modo autonomo e spesso solitario, il puzzle dell’offerta territoriale, sicuramente in una condizione di asimmetria informativa: le famiglie non vanno lasciate sole, quanto piuttosto informate, orientate, sostenute e accompagnate. In particolare, è questa l’ipotesi prioritaria che ha guidato la nostra azione nell’ultimo triennio in ambito socio-sanitario e che ha portato all’approvazione della Legge regionale sui caregiver lombardi ed è sempre questa la nostra maggiore aspettativa rispetto ai dispositivi previsti dal PNRR e dal Decreto Ministeriale n. 77/2022.


Nello specifico, le Case della Comunità possono assumere un ruolo centrale nel ridisegno del sistema sanitario regionale, facendosi carico – mettendo la persona al centro e riconoscendone la dignità – dei bisogni di cura e assistenza legati alla cronicità, alle non autosufficienze, contribuendo anche un ripensamento del sistema delle RSA e dell’assistenza domiciliare, facilitando l’accesso alle prestazioni attraverso un sistema organizzato, integrato e coordinato di prenotazione (CUP unico) che consenta di ridurre i tempi di attesa per le prestazioni offerte dal pubblico grazie a un’integrazione – con spesa a carico del sistema pubblico – dell’offerta privata.


Certo queste non devono essere vecchi servizi poliambulatoriali a cui è stato cambiato il nome o, peggio ancora, delle scatole sì nuove ma “vuote”, ma dispositivi territoriali dove libertà di scelta, presa in carico, appropriatezza non risultino termini puramente formali, ma effettivamente agiti con un reale impatto sulle famiglie.

In tal senso riteniamo che le Case di Comunità dovranno essere luoghi a chiarissimo governo e prevalente erogazione pubblica, e ospitare operatori, competenze, servizi tra loro integrati e collaborativi, prevedendo come obbligatoria la presenza di Medici di Medicina Generale, Pediatri, Assistenti Sociali, magari anche con operatori sociali di Patronato, soggetti del terzo settore e volontari attivi e competenti che contribuiscano a realizzare azioni di orientamento e sostegno.

Anche per questo, insieme all’attività di proposta e sollecitazione nei confronti della politica regionale, come ACLI lombarde confermiamo la nostra disponibilità a livello regionale e territoriale per costruire patti e alleanze con le Istituzioni insieme agli altri soggetti del terzo settore, mettendo a disposizione le nostre competenze di soggetto di advocacy dei diritti di salute e promuovendo azioni di monitoraggio e valutazione dell’implementazione dell’offerta sanitaria e socio-sanitaria in Lombardia.

 


 

Ri-fondare la repubblica sul lavoro e formare le persone per ridurre le disuguaglianze

 

La condizione sociale in cui vivono molti giovani lombardi è assai problematica, in particolare riguardo al quadro occupazionale. In Lombardia ci sono oltre 250mila NEET (giovani che non lavorano e non studiano), l’occupazione giovanile è scesa di altri due punti percentuali negli ultimi due anni e anche quelli che lavorano non se la passano molto meglio: nella maggior parte dei casi, infatti, guadagnano meno di 1000 euro al mese. Questo fa sì che i due terzi di coloro che hanno tra i 18 e i 34 anni viva ancora con i suoi genitori. Nei prossimi 30 anni, inoltre, avremo milioni di italiani in meno in età da lavoro per via delle trasformazioni demografiche in atto. Per questo servono politiche migratorie avanzate e intelligenti che costruiscano percorsi di inclusione.


In generale il lavoro è un fattore fondamentale per dare ad ogni persona un reddito e un ruolo sociale che la renda parte attiva e partecipe della comunità in cui vive. Il lavoro è elemento essenziale per rapporti positivi e solidali tra le generazioni, per l’inclusione degli stranieri, per l’emancipazione delle persone più povere, per assicurare pari opportunità alle donne, per la valorizzazione della diversità attraverso la messa a sistema delle competenze e sensibilità individuali. Inoltre, il lavoro degno e regolamentato è il principale antidoto all’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia e alle varie forme di sfruttamento dei lavoratori e di evasione fiscale che segnano sempre più pesantemente la nostra economia sottraendo risorse importanti per lo sviluppo della comunità.


Assume dunque primaria importanza il tema delle politiche attive del lavoro, della promozione della piena occupazione dei cittadini, a partire da un rilancio della cultura e della pratica del lavoro.

In tal senso, un impegno forte e concreto va promosso nell’integrare misure di tutela e assistenza con le politiche attive, cogliendo le opportunità legate, ad esempio, all’attuazione del programma GOL (Garanzia Piena Occupabilità) finanziato con risorse del PNRR, coordinando questo dispositivo con gli altri esistenti, rendendo realmente fruibili per i cittadini le opportunità di qualificazione e riqualificazione legate al collocamento nel mercato del lavoro.


Un coordinamento degli interventi e dei soggetti del pubblico e del privato, riconoscendo in modo formale e sostanziale il ruolo del Terzo Settore nell’orientamento e nel sistema di presa in carica, appare sempre più importante per accogliere i bisogni dei soggetti più fragili e costruire percorsi mirati di accompagnamento al lavoro.

La valorizzazione di esperienze già esistenti e lo sviluppo di nuovi modelli innovativi, basati su patti tra pubblico e privato nella logica di rilanciare l’occupazione sono a nostro avviso essenziali per evitare di disperdere risorse ed energie, per evitare che tutta “la macchina del collocamento” impieghi sono soggetti che sarebbero nella condizione di trovare occupazione autonomamente

Guardando ai temi della formazione professionale, l’azione politica ed amministrativa della Regione può rappresentare un elemento differenziante in grado di favorire esperienze significative con importanti ricadute di natura formativa e legate al lavoro (e quindi alla competitività economica per le imprese del territorio).  Non sono da sottovalutare, inoltre, gli effetti positivi di natura sociale che il sistema contribuisce a raggiungere. La formazione e la scuola professionale sono, senza ombra di dubbio, strumenti efficaci di lotta alla povertà, di inclusione sociale per le fasce più deboli della società, di aggregazione sociale per i giovani e per i lavoratori meno tutelati e infine di contrasto ad alcuni effetti di isolamento di fasce deboli della popolazione.


Partendo da questi presupposti e da questa visione del ruolo che la formazione può avere nella nostra società, si propongono alcune azioni per implementare una politica di sviluppo e valorizzazione della formazione professionale su scala regionale:

  • Ridurre il divario di competenze tecniche e trasversali puntando fortemente sulla personalizzazione degli interventi formativi attraverso un potenziamento della logica duale e dei dispositivi (es. sistema dotale) che rafforzino le professioni dove il fabbisogno occupazionale e professionale è maggiormente insoddisfatto.
  • Prevedere uno strumento di reddito di formazione per permetta a chi è lavoratore povero di sostenersi mentre si riqualifica per cercare nuova occupazione.
  • Investire nella digitalizzazione e nelle infrastrutture scolastiche, sostenendo progetti di innovazione che supportino in modo adeguato il trasferimento di competenze tecnologiche dall’università e ricerca e dai soggetti privati verso le scuole, i Centri di Formazione Professionale e le Fondazioni ITS.
  • Alimentare il sistema di formazione continua dei lavoratori, mettendo in campo percorsi di riconoscimento e certificazione formale delle competenze acquisite in ambiti formali e informali;
  • Rinsaldare i legami internazionali per favorire lo sviluppo di programmi di mobilità per docenti, tutor e personale amministrativo in aggiunta alle attività di scambio dedicate agli studenti.
  • Trasformare le scuole in luoghi aperti, disegnando bandi per attività extra didattiche e favorendo attività pomeridiane e serali nei Centri di Formazione aperti alla società civile dei vari territori.

 

Potenziare la formazione professionale, a tutti i livelli, è un elemento di fondamentale importanza per aumentare la competitività del nostro sistema regionale. Rinforzando questa prospettiva riteniamo di poter porre le basi per un “ecosistema virtuoso del lavoro” dove persone, imprese, istituzioni, lavoratori, studenti generino (e acquisiscano) valore per sé e la società.

 

 


 

 

Rafforzamento del Terzo Settore, promozione dell’impegno civico, co-programmazione e co-progettazione come prassi per lo sviluppo di azioni in favore delle comunità

 

Il Terzo Settore rappresenta un variegato mondo di realtà e reti sociali attive dentro le comunità, la trama di un prezioso tessuto fatto di incontri concreti e quotidiani con le storie, con le vite, sempre più affaticate e vulnerabili, delle persone.

In virtù di questo ruolo strategico e importante per la tenuta del tessuto socio economico dell’intero sistema, considerata la storia e la consistenza del Terzo Settore lombardo, riteniamo necessario si lavori per:

-       avviare azioni continuative di coprogrammazione e coprogettazione, nel solco delle indicazioni della Corte Costituzionale (sentenza 131/2020), per dare corpo a patti e alleanze con il terzo settore orientate alla promozione dell’interesse generale, così da rilevare in modo multidimensionale e integrale i fabbisogni delle comunità e promuovere relazioni collaborative che non provino solo a ridurre i bisogni in risposte, ma che contribuiscano a ridare senso al lavorare, all’abitare, all’utilizzare il tempo e le competenze.

-       ottimizzare i processi di sviluppo di proposte progettuali in una prospettiva pluriennale, a valere ad esempio su risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE+), su fondi per il sostegno alle attività ordinarie degli enti del terzo settore (art. 72 e 73 dlgs. 117/2017), sulle diverse missioni del PNRR legate in particolare all’inclusione e coesione e quelle finalizzate alla digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, prevedendo un protagonismo del terzo settore nelle varie fasi e componenti del piano, ponendo come obiettivo strategico il rafforzamento della dimensione collaborativa tra i soggetti territoriali per facilitare la co-costruzione di oggetti di lavoro e la definizione di strategie funzionali a dotare le comunità di solide infrastrutture sociali.

-       impegnare, in modo coordinato e progressivo, gli uffici regionali RUNTS e le relative articolazioni territoriali a promuovere misure di sostegno e rafforzamento degli ETS nella prospettiva di fare in modo che la legge di riforma realizzi a pieno il proprio scopo promozionale e non sia un meramente adempitiva e procedurale, divenendo un appesantimento per gli enti o una barriera all’esercizio delle proprie naturali funzioni sociali.

-       ripensare e aggiornare (capacity building) le dotazioni di competenze e strumenti con cui gli enti di terzo settore si rendono meno dipendenti dal sistema pubblico di appalti per servizi (autonomia), assumendo una prospettiva non solo suppletiva, ma sussidiaria, per mettere a disposizione delle persone e delle comunità competenze e percorsi per affrontare i problemi di cui le recenti emergenze (salitaria, energetica, ecologica) hanno mostrato la gravità, accelerando in modo esponenziale i processi di cambiamento / transizione.

-       mettere in campo misure di attenzione al mondo giovanile, promuovendo esperienze di Servizio Civile Universale e volontariato, quali occasioni sia per una crescita umana e comunitaria, che per lo sviluppo di competenze specifiche e relazionali.


All’interno di questo orizzonte, le Istituzioni, insieme al terzo settore – che deve sapersi affacciare anche al mercato, contribuendo a cambiarne le regole dentro una prospettiva di economia civile e sociale  - non possono perdere l’opportunità offerta dalla legge di riforma di essere strumento ed espressione dell’essenziale e libero contributo dei cittadini allo sviluppo del territorio e delle comunità.

 


 

Conclusioni

 

Le ACLI, nella loro autonomia, non si schierano per l’uno o l’altro partito: ogni iscritto alle ACLI – in  ha il diritto di essere libero di pensare a come tradurre politicamente le istanze di fedeltà ai lavoratori, alla democrazia e alla Chiesa. Essere liberi è la condizione per assumere un impegno. Per questo animeremo il dibattito pubblico con le idee e le proposte – con il punto di vista – che abbiamo cercato di riassumere in queste poche righe. Ma non potremo fare a meno di esprimere la nostra opinione sui temi che maggiormente ci stanno a cuore.

 

Pertanto, invitiamo tutti gli aclisti a partecipare al dibattito, ad informarsi e conoscere, a votare e ad invitare altri a votare per quei candidati che mostrano reale attenzione al tema della giustizia sociale, della povertà, dell'inclusione sociale e dello sviluppo del lavoro in un'ottica di ecologia integrale. Il nostro impegno prima delle elezioni sarà poi seguito dall'impegno nel dialogo con chi assumerà le responsabilità politiche e amministrative affinché i temi qui esposti possano essere tradotti in politiche.

 

Il contrasto alle disuguaglianze e il riconoscimento dei diritti sociali, la loro reale esigibilità, sono la base e l’obiettivo ultimo cui tendere, sono gli ambiti entro cui testimoniare, in modo vivo, partecipato e solidale, l’eccellenza lombarda.

Abbiamo bisogno e desideriamo una regione che sappia farsi carico, in modo integrale e accogliente, delle vulnerabilità, che sappia ricomporre bisogni, fragilità, risorse e competenze, coniugando l’operosità lombarda con una visione del futuro capace di (ri)dare senso alle relazioni dentro le comunità che abitiamo.

 

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