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EDITORIALE
Mettiamoci in gioco

di Roberto Rossini (presidente provinciale ACLI)

La pensionata che si fuma i risparmi di una vita, il padre che si mangia la casa di famiglia, il disoccupato che ruba in casa sua oggetti e soldi per ripagare gli strozzini... Casi eclatanti di alcune vittime delle slot machine, ormai installate nei posti più impensati. Casi, si dirà. Forse. Perché quando sono tanti non si tratta più dei casi di una ruota della (s)fortuna guidata da una mano invisibile ed ineffabile.
Sono invece le vittime di una seduzione che fa leva su una naturale compulsione umana, che sfrutta la crisi economica e l'indegna penuria di risorse. Così il destino diventa cinico e baro. Cinico perché non si preoccupa se i giocatori sono poveri o ricchi, sani o malati. Baro perché non c’è scampo: il giocatore sta dalla parte debole o debolissima. Più che lottare contro delle macchine da gioco si gioca contro una una macchinazione commerciale. Gli epiloghi sono anche drammatici. Ma in questo nostro Paese passano via tra una legge e una nuova tassa, tra uno spot commerciale e un gol: magari segnato da una squadra che sulle magliette pubblicizza il gioco d'azzardo. Sì, giocare: non a tirare la palla, ma a tirare una leva dove si pensa che ci sia di mezzo l'abilità. Invece lì fa capolino solo la sfiga. Quella che – come specifica la legge di Murphy – diversamente dalla cieca fortuna, ci vede benissimo e sa chi colpire.
Lo Stato fa la pubblicità ai suoi giochi. Prende i soldi da questi giochi. Si fa finanziare. Poi dovrà anche pagare i costi per intervenire sulle ludopatie. Ma l'imperativo morale è far quadrare i conti. Agli sfigati ci pensiamo dopo. E gli italiani giocano: sono al 6° posto nella classifica mondiale dei più grandi giocatori d’azzardo; la spesa per il gioco è infatti aumentata del 222% dal 2004 al 2011; il fatturato annuo supera gli 80 miliardi.
Inutile chiedere di giocare con moderazione: come si fa ad essere moderati verso una tentazione? Il buon consiglio copre la nostra falsa eticità: basta dire di stare attenti, se poi ci sono i pericoli non ci compete.
Non vogliamo uno Stato proibizionista, che costringerebbe a nascondersi nelle cantine mentre qualche mafioso incrementa il suo conto nel caveau della banca. Non vogliamo neppure uno Stato che non tassa i giochi e lascia deregolato quest'ambito commerciale. Vorremmo invece – ad esempio – che la decisione se poter mettere o meno delle slot machine appartenesse sia allo Stato sia al sindaco, entrambi obbligati a tenere conto del numero delle ludopatie o di altri indicatori di rischio sociale.
Il gioco – chi l'avrebbe mai detto – rischia di diventare un dramma. Quando insegniamo ai bambini il valore del gioco, li abituiamo alle regole e all'abilità, al fair play e allo stile, all'intelligenza e alla serenità. Questo gioco, invece, porta agli effetti opposti.
Finora una parte della politica si è mossa bene: la Regione Lombardia, molti comuni bresciani, qualche parlamentare. Ma non tutti. E’ ora di chiudere. Bello il gioco se dura poco. Se è regolamentato, se è controllato: se è disciplinato tenendo conto dei suoi effetti. La politica, quando non tiene conto dei ragionevoli effetti, non è più politica: quando va bene è testimonianza, quando va male diventa essa stessa un grande gioco d'azzardo. Cioè quello che dovrebbe combattere.

 

In questo numero di Battaglie Sociali:

Filo Rosso
Mettiamoci in gioco (di Fabio Scozzesi, Pieranna Buizza)

Bel paese
Brescia al 53° posto (di Dante Mantovani)
Non crediamo alle favole (di Stefania Romano)

Chiave a stella
Perchè nessuno si perda (di Fabrizio Molteni)

Filo soffiato
Rolihlahla Madiba (di Flavia Bolis)

Cooltura
Sulla strage impunita (di Angelo Onger)

On tè road
I soldi? Investirli (di Roberto Toninelli)

Annales
don Murgionii (di Salvatore Del Vecchio)

e molto altro...

 

 

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