#EDITORIALE

#EDITORIAL

E adesso? Un nuovo inizio. 
di Pierangelo Milesi (presidente provinciale Acli)
 
Ho sempre preferito i punti interrogativi ai punti esclamativi, la fatica della ricerca alla sicurezza dei dogmi, il discernimento alle soluzioni preordinate. La domanda sull’adesso del presente apre ad una più profonda ed esigente domanda di futuro. Anche Brescia ha pagato a caro prezzo - con quasi tremila vittime e quasi quindicimila contagiati accertati - la pandemia del Covid-19: una sofferenza immane che resterà scolpita nella memoria di tutti e che condizionerà la nostra convivenza futura. Insieme ai drammatici lutti personali e delle famiglie, viviamo un più profondo lutto collettivo per la perdita di un mondo che non tornerà più come prima. Per certi aspetti ce lo auguriamo, ma dobbiamo affrontare il pervasivo senso di insicurezza che la pandemia ha accresciuto esponenzialmente. L’incertezza è la cifra di questo tempo di sospensione che stiamo attraversando e l’accumulo di notizie e informazioni non ci libera dall’inquietudine. Quest’esperienza ci sta cambiando in profondità, come singoli e come società, e per questo la normalità che ricominceremo a costruire sarà diversa. 
 
Non possiamo più trascurare i segnali di quella che va interpretata come una crisi sistemica: ci siamo illusi per decenni di poter dominare il mondo con modelli semplicistici e riduttivi. Abbiamo trasformato l’individualismo in sistema politico-economico, utilizzando il neoliberismo a tutela degli interessi di pochi, fornendo una giustificazione ideologica a disuguaglianze crescenti, erosione dei diritti, ritirata dello Stato e legittimazione dell’abbandono della solidarietà nei confronti degli ultimi e degli sforzi per la loro inclusione. Abbiamo ceduto ad un antropocentrismo deviato, accecante di fronte ai rischi che il degrado dell’ambiente produce. Siamo ancora succubi di un pensiero che interpreta la diversità come minaccia e propone la chiusura e lo scontro fra identità culturali predefinite e impermeabili. 
 
Questa crisi, come in ogni altra, ci viene incontro nella forma dell’esigenza del cambiamento, rispetto al quale abbiamo alcuni tracce da seguire. Una prima traccia è l’esperienza di essere “tutti sulla stessa barca”: un virus non guarda in faccia a nessuno e non tiene conto di differenze, disuguaglianze e frontiere. Credo che questa sia stata anche la ragione più forte che ha suscitato a Brescia uno straordinario moto di solidarietà diffusa, economica e relazionale, che non va dispersa. Un ulteriore traccia è l’esperienza della fragilità umana, di fronte alla quale riscopriamo anche la qualità etica del legame che ci unisce, che non si esaurisce nei rapporti “faccia a faccia”, ma si sostanzia in strutture e istituzioni che intermediano la relazione tra i membri di una società sempre più complessa. Oggi è il caso del sistema sanitario: la salute e la sicurezza di tutti dipendono da quello che è un bene comune nel senso più pieno. Perciò l’esercizio della responsabilità nei confronti dell’altro incorpora la cura per i beni comuni che proteggono la vita di tutti: se oggi ci sentiamo minacciati da un sistema sanitario ridotto all’osso, non possiamo giustificare l’avversione per i doveri fiscali da cui provengono le risorse per sostenerlo e rinforzarlo.
 

Abbiamo visto riemergere in questi mesi il valore di una risorsa su cui scopriamo di poter contare: la professionalità di tante donne e uomini, che hanno svolto il proprio compito con una dedizione che va al di là di qualunque dispositivo contrattuale, è la testimonianza che il lavoro è innanzi tutto un ambito di espressione di senso e di valori, e non solo la “merce” che viene scambiata con la remunerazione. Rivalutare la concezione condivisa del lavoro sta alla base delle politiche che lo riguardano e del nuovo sguardo che siamo tutti invitati ad assumere.

 

L’emergenza COVID-19 ha riportato sotto i nostri occhi la centralità della politica nella sua funzione originaria di autorità che si prende cura di ciò che non può essere affidato ad altre istanze sociali e che a questo scopo utilizza il potere. La politica è centrale per la ricostruzione di un nuovo modello morale, sociale ed economico, alternativo a quello tramontato. Per questa sfida è essenziale una ritrovata solidarietà dello spirito europeo.
 
L’annuncio del Next Generation EU da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che prevede un pacchetto di fondi straordinari per le economie europee travolte dalla pandemia si carica di un duplice significato: dal versante simbolico la misura annuncia una nuova fase costituente europea verso un concreto federalismo; dal punto di vista politico segna un passaggio importante nella realizzazione del sogno europeo e cioè della collaborazione economica e poi politica, basata sulla solidarietà tra le nazioni. Mi pare un buon segnale di speranza.
 
Le Acli affrontano questa fase con l’atteggiamento di fiducia fondamentale nei confronti della vita che consente alle persone di fare un passo in avanti, di impegnarsi, di mettersi in gioco per continuare a servire le nostre comunità, sostenute dalla fede e dalla speranza, intesa come possibilità di un nuovo inizio. Quello che comincia adesso. 
 
 
E adesso?
di Daniela Del Ciello
 
Lasciatemelo dire: è abbastanza difficile imbastire dei contenuti in un periodo come questo.

Dopo mesi che abbiamo letto e detto di tutto - perchè pensare e scrivere (non sempre in quest’ordine) erano tra le poche cose che potevamo fare - produrre qualcosa di veramente nuovo e buono non era semplice.

Ci abbiamo provato. Come dicevo, per mesi chiunque non fosse troppo provato in salute o dalla salute altrui, si è interrogato sul “dopo”. Da un giorno all’altro le nostre vite sono cambiate e ci siamo chiesti se fosse per sempre. E se sì, in meglio? In peggio? Una crisi del genere è un’opportunità, come spesso ci diciamo, o solo una sventura?

Mentre il mondo cercava di rispondere a queste domande più grandi, io nel mio piccolo non mi davo pace su un punto: ma dopo quando? Dopo cosa?

Quando inizia il dopo? Come dimostra la curva del contagio, ci sono tendenze, miglioramenti, oscillazioni... Certo l’OMS ha stabilito dei parametri che ci dicano quando una pandemia è finita (28 giorni senza contagi) e anche le “fasi”, quelle che stiamo ostinatamente numerando come per dimostrare al virus che siamo ancora noi uomini a comandare, le stiamo decidendo, arbitrariamente, noi. Paese per paese, e pure con distinguo tra regioni e addirittura comuni. 
 
Non esiste il dopo. Adesso è già il “dopo” di quando avete iniziato a leggere queste righe. Tutto qui.

Non c’è niente di mistico o rivoluzionario in questo, o forse sì, ma non c’entra la pandemia. Cosa voglio dire. Come l’etimologia di “crisi” ci dimostra (cfr. p. 18), parlare del “dopo” ha senso solo se noi intendiamo davvero fare qualcosa per cambiare.

E' una nostra scelta. Solo una piccola parte di ciò che cambierà sarà dipeso dal “destino” o dal corso della “natura”.

Davvero sapremo ripensare il nostro modo di lavorare? L’Europa sfrutterà l’occasione di dimostrarsi adulta? Come Paese abbiamo capito che la voce “sanità” del bilancio non è solo una spesa? E gli anziani? L’educazione dei figli? Il ruolo delle madri e delle donne in generale? Il pericolo di morte ci ha resi più o meno attenti all’ambiente? Come cambierà il nostro modo di vedere e scoprire il mondo?

E le Acli?

Non aspetteremo che arrivi un “dopo” che non sappiamo quando sarà.
 
Se vogliamo cambiare, la domanda da porsi è: e adesso?
 
 

In questo numero di Battaglie Sociali
 
Post-pandemic section
E adesso? (di Stefania Romano)
Grazie Europa (di Maurilio Lovatti)
Una didattica a distanza, non distante (di Beppe Pasini)
I tempi di vita e di lavoro (di Daniela Del Ciello)
Un virus che ti resta addosso (di Monica De Luca)
 
Librarti
di Angelo Onger e Giulia Ballarin
 
Annales
di Salvatore Del Vecchio
 
Coronavirus: la metamorfosi dei consumi
di Fabio Scozzesi
 
Sportello Lavoro
di Fabrizia Reali
 
Davvero ha senso "svecchiare" la politica?
di Luciano Pendoli
 
Fase 2: il ritorno!
di mons. Alfredo Scaratti
 
e molto altro...

 

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