Rossini: gli italiani hanno espresso un voto esigente, ora fiducia nel Parlamento per una stagione di riforme

Martedì 22 settembre 2020

“La vittoria del Sì esige di aprire una stagione di riforme, che contempli un nuovo sistema elettorale, il superamento del bicameralismo perfetto e una legge sulla democraticità e la trasparenza dei partiti.” Così il Presidente nazionale delle Acli, Roberto Rossini, ha commentato il risultato del Referendum Costituzionale. “Il timore di una “democrazia tagliata” si scongiura con l’apertura di un cantiere di riforme, che dichiari e recuperi i grandi valori repubblicani e rinnovi il rapporto tra eletto ed elettore. La minor incidenza del Parlamento col territorio va compensata con una maggiore attenzione alle autonomie locali, il cui disegno non è stato portato a compimento. Stiamo vivendo un momento molto delicato per le nostre istituzioni, occorre avere e dichiarare un disegno coerente. Abbiamo fiducia nel fatto che il Parlamento possa svolgere un ruolo importante e positivo, già a partire dalle prossime settimane

 


Il voto e i giorni del disgiuntivo

 

Che dire del doppio appuntamento elettorale di domenica e lunedì? Il M5s esce male dalle elezioni regionali, senza alcun governatore, con percentuali a una cifra e con l’impressione di un isolamento autistico, anche quando perde nell’unica regione in cui si presenta con l’alleanza giallo-rossa, la Liguria. Senza leader locali forti, il M5s appare un partito “senza terra”, senza territorio. Curiosamente proprio ieri è arrivata una tegola giudiziaria anche ad una delle poche rappresentanze territoriali, la sindaca di Torino. Invece il M5s esce bene dal voto referendario: d’altra parte era il suo referendum, simbolicamente e strategicamente. Vediamo come lo valorizzeranno e come proseguiranno. Se il passo successivo saranno i costi della politica, dimostreranno di voler tenere il passo ad un qualunquismo populista che si vuol tenere in vita nonostante tutto (il No, nel nord, ha avuto percentuali molto alte) rinunciando a voler crescere, ossia scegliendo un’idea di Paese e valorizzando un’idea di governo.

 

Il PD esce bene dalla doppia competizione elettorale. Vince il Sì – su cui aveva puntato il Segretario – e tiene le regioni che era interessato a tenere, pur perdendo le Marche. I giornali rivelano una battuta del Presidente Conte, che postula di durare fino al 2023. Conte ha vinto senza neppure giocare la partita, visto che nelle ultime settimane si era messo in silenzio. E non ha torto: l’asse Pd-M5s ha retto e ha rafforzato il suo governo. Il Segretario del Pd ha fatto bene a puntare su questa alleanza col M5s. È possibile – ma ora vedremo i dati dei flussi – che l’elettorato grillino abbia riversato i suoi voti sul Pd, su qualche lista di centro-sinistra e, soprattutto, sui candidati governatori del Pd. Chissà, forse è stato il voto disgiunto il vero simbolo della partita di domenica. Già prima di domenica si denunciavano condotte mai viste o comunque mai ostentate, come alcuni circoli veneti del Pd che auspicavano il voto al candidato consigliere democratico pur accettando il voto disgiunto verso Zaia o come alcuni inviti dello stesso tenore che provenivano dalla Puglia: votare Emiliano pur accettando il voto ad altri partiti non di centro-sinistra.

 

Al voto disgiunto attribuiamo anche il clamoroso successo di alcune liste personali a sostegno dei candidati governatori: quella a sostegno di De Luca prende il 14%, a Zaia il 46 (una futura Dc veneta?), a Toti il 22. I partiti di provenienza dei rispettivi candidati hanno invece conseguito il 18 (Pd), il 16 (Pd) e il 5 (Forza Italia)… Troppo poco, nessun tiraggio vero e proprio. Questo significa che prosegue imperterrito il fenomeno che Mauro Calise nominava come democrazia del leader, ossia la democrazia come protesi e baluardo di leadership individuali, forti e capaci di garantire ciò che i partiti non garantiscono più: ordine, responsabilità e riconoscibilità. I partiti si perdono in riti (e liti), magari estenuanti, certamente incomprensibili per il cittadino medio. Meglio allora la chiarezza di una leadership con una faccia e con una storia, tenuto conto che di storia i partiti, tra l’altro, ne hanno sempre meno. In fondo la vittoria del Sì al referendum può essere interpretata anche come vittoria contro i partiti, contro forme di rappresentanza dal linguaggio astruso ormai non più collegate ad alcun significato positivo. Il voto disgiunto tra partito e candidato governatore favorisce questo fenomeno: si sceglie anzitutto il leader, il responsabile finale. Non so quanto sia significativo, ma anche il leader del Pd è – anzitutto – un governatore regionale.

 

Vito Mancuso, in un brillante pezzo di pochi mesi fa – La preghiera e i giorni del congiuntivo -, ricordava che la preghiera usa sempre il congiuntivo (“venga il tuo regno”), cioè congiunge il presente al desiderato, ha una forza congiuntiva tra un fatto vero e un qualcosa che si vorrebbe o non si vorrebbe avverare. La politica, invece, si rafforza oramai sul disgiuntivo: sceglie solo i fatti veri, i fatti e basta. Conta che vinca questo o quel leader. Il resto un po’ meno…

 

di Roberto Rossini

 

 

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