Non dobbiamo tornare come prima

Giovedì 28 maggio 2020
Articolo tratto da www.famigliacristiana.it
 
 
Alfabeto per il futuro - Parole per il domani 
Prosegue con “precarietà” la serie di articoli, inaugurata sullo scorso numero, che si propone di riflettere sulle “parole chiave” che, se lette con gli occhi della fede, ci possono aiutare a rialzarci e ripartire dopo la catastrofe del Coronavirus. Tra i protagonisti delle prossime puntate ci saranno la monaca di clausura Ignazia Angelini, la scrittrice Mariapia Veladiano, la giornalista esperta di ambiente ed economia Nicoletta Dentico.
 
«Le bare sui camion militari, esposte alla vista di tutti, sono state una tragica esperienza collettiva che ha frantumato la pretesa onnipotenza del nostro tempo. Noi tutti eravamo abituati a nascondere la nostra precarietà e vulnerabilità nel privato, come se riguardasse gli altri e non noi o, viceversa, noi e non gli altri. Invece, abbiamo brutalmente imparato che esiste una dimensione comune della vulnerabilità e della fragilità». Daniele Rocchetti è il presidente delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani) della provincia di Bergamo, l’epicentro italiano dell’epidemia di Covid-19. La tragedia l’ha toccata con mano e continua a vederne le conseguenze ancora in questi giorni, nelle ferite psicologiche della sua gente, che chiederanno molto tempo per guarire, ma anche nella disperazione di chi si presenta agli sportelli dei patronati e non sa come pagare le bollette o rischia la bancarotta della propria piccola attività. «Sono state settimane segnate da una precarietà che è entrata prepotente in tutte le case, ha attraversato la vita di tutti noi», racconta Rocchetti. «Anche se la mia famiglia non è stata direttamente colpita dal virus, ci sono stati tanti malati e morti tra amici e conoscenti. Abbiamo perso alcuni volontari storici delle Acli, tra i quali un cooperante che aveva solo 50 anni. In brevissimo tempo, sono venute a mancare molte figure comunitarie persone che hanno reso bella la vita dei nostri territori: sacerdoti, medici di base, infermieri, insegnanti, volontari della protezione civile, alpini, allenatori, geologi, sindaci, animatori dell’oratorio, maestri di canto, esperti di presepi, catechisti e tanti altri. Se ne è andata, brutalmente, una generazione di donne e uomini che hanno costruito ponti, creato legami, cucito relazioni. Moltissime persone sono morte in corsia da sole. Non vi è stato il tempo di un saluto, di un cambio di abito, di una sepoltura, per chi lo desiderava, nella terra. Solo la consegna dell’urna con le ceneri. Nei giorni peggiori, a Nembro i preti avevano smesso di suonare le campane a lutto per ogni morto perché sarebbe stata una sequenza continua, un’angoscia intollerabile. Servirà molto tempo per rielaborare questa ferita aperta». Però, quando tutte le certezze sembrano venire meno, «ti accorgi che la parola precarietà ha la stessa radice di “prece”, “preghiera”», osserva Rocchetti. «Sapere di essere precari su questa terra significa che non possiamo bastare a noi stessi: dobbiamo aprirci agli altri e l’Altro». Una realtà per tradizione laboriosa e in prima linea come le Acli non si è tirata indietro, nemmeno nei giorni più drammatici e ora guarda al “dopo”. 
 
Tempo di solidarietà

  

«Abbiamo cercato di custodire il nostro “stile”: offrendo mappe di comprensione della realtà e, insieme, gesti di vicinanza», enumera il presidente. «Abbiamo garantito, attraverso lo smart working, i servizi di prossimità richiesti da tantissimi. Tramite i nostri Patronati abbiamo assistito le persone per le pensioni di reversibilità e i documenti per accedere ai sussidi. Ora abbiamo avviato il progetto di sostegno temporaneo a centinaia di famiglie messe in crisi economica dal blocco delle attività». In generale la comunità civile e religiosa bergamasca ha risposto con generosità all’emergenza: «Molti giovani si sono subito spesi a servizio della gente, tanti hanno sostenuto gli ospedali, il vescovo Francesco Beschi ha mostrato una paternità e una vicinanza che è stata di consolazione per tantissimi. La diocesi ha stanziato 10 milioni di euro per interventi sociali». Rocchetti è un convinto sostenitore della cultura, perché nell’emergenza servono il pane, le medicine e le carezze, ma serve anche il pensiero come antidoto alla disperazione e all’imbarbarimento. Prima di arrivare ai vertici locali delle Acli, era insegnante di religione e da oltre dieci anni è animatore a Bergamo e provincia di Molte fedi sotto lo stesso cielo (www.moltefedi.it), una delle esperienze più interessanti oggi in Italia di animazione culturale sul tema del dialogo tra religioni e culture. «Attraverso il sito», racconta, «abbiamo offerto testi gratuiti e da qualche settimana abbiamo avviato i Dialoghi per un nuovo inizio: dirette via Facebook per ragionare sul senso e sul dopo con Nando Pagnoncelli, Mauro Magatti, don Fabio Corazzina, Mario Calabresi, Rosy Bindi e tanti altri. E per il prossimo autunno, anche se le priorità potrebbero sembrare altre, Molte fedi tornerà con un ricco programma di incontri on line». Esorcizzando il possibile ritorno di una seconda ondata, il peggio dell’emergenza sanitaria sembra superato, ma nella “Fase 2” dagli sportelli dei Patronati e dei servizi delle Acli giungono comunque segnali preoccupanti: «Vedo tanta disperazione e rabbia di chi non sa come arrivare alla fine del mese e temo per la tenuta sociale: la pandemia ha reso evidente la faglia che separa chi è garantito e tutelato da chi non lo è». 
 
Un sistema da cambiare
 
È emersa anche la fragilità del sistema sanitario propagandato come “modello”. «Sono risultati evidenti tutti i limiti delle scelte politiche che in Lombardia hanno ridotto i presidi territoriali, gli ambulatori, caricato di assistiti i medici di base, diminuito i posti letto per la terapia intensiva», osserva il presidente delle Acli. «Si è gestita la sanità come fosse un’impresa come tutte le altre e dunque sottoposta alla legge dei costi e dei benefici: se un investimento non rende nei tempi e nei modi del capitale, non si fa». In queste settimane a Rocchetti, che da tempo fa anche da guida ai pellegrini in Terra Santa, viene spontanea l’immagine del deserto, «il luogo dove nella precarietà assoluta si è messi alla prova», ma dal quale poi Israele esce per abitare una nuova terra, e da lì dar vita a un nuovo inizio. Insomma: un’occasione di cambiamento che non può essere sprecata. «Avevamo smesso di farci delle domande. Abbiamo dato per scontato che si potesse convivere con l’insostenibilità di un sistema che non reggeva più a livello ambientale, economico, culturale. Avevamo dimenticato il valore del lavoro e ora ci siamo accorti di quanto siano preziosi infermieri, addetti delle pulizie, commessi, manutentori, trasportatori... Il tempo che abbiamo di fronte – il post Coronavirus – può essere davvero un nuovo inizio solo se saremo capaci di sentirci parte attiva e critica. Cinque anni fa, con lucidità, ce lo ha ricordato la Laudato si’ di papa Francesco: tutto è connesso. Solo guardando il mondo a partire dai più poveri e dai più vulnerabili, mettendo al centro le persone in carne ed ossa, sarà possibile fare di questa crisi un’opportunità. Altrimenti sarà solo retorica. Vale anche nella Chiesa: tutto questo è una lezione che ci chiede di essere comunità che si prende cura della dimensione umana con la prossimità, che dà centralità alla Parola, che riconosce il contributo maturo dei laici. Credo che una virtù da custodire in questo nuovo inizio sia quella dell’indignazione. Che è la capacità di non rassegnarci a ciò che è ingiusto, di non accettare più l’inaccettabile. Anche se ha il consenso dei più. È il primo passo per ogni azione personale e per ogni scelta politica».   capacità di non rassegnarci a ciò che è ingiusto, di non accettare più l’inaccettabile. Anche se ha il consenso dei più. È il primo passo per ogni azione personale e per ogni scelta politica».

Precarietà - i preferiti di Daniele Rocchetti
  
BIBBIA - Salmo 89, versetto 12: «Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo  alla sapienza del cuore».
IL FILM - The Dead - Gente di Dublino (1987) l’ultimo film del regista John Huston, tratto dal racconto di James Joyce, una straordinaria meditazione sulla vecchiaia e sulla morte.
LA CANZONE - Anthem di Leonard Cohen, dall’album The Future del 1992. «C’è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce».
 
 
 
Chi è
 

Daniele Rocchetti, 59 anni, è sposato con Renata ed è papà di tre figli: Francesco, Davide e Benedetta, che hanno tra i 17 e i 29 anni. Ha un baccalaureato in Teologia e, prima di diventare presidente delle Acli di Bergamo, era insegnante di religione. È anche guida per i pellegrini in Terra Santa. 

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