La previdenza dopo quota 100

Mercoledì 12 maggio 2021

Ipotesi e scenari per il futuro

di Giuseppe Foresti, Presidente del Patronato Acli di Brescia

 

 

Alla fine del 2021 termina il triennio di validità del diritto a maturare l’età della pensione con la cosiddetta “Quota 100”. Va però ricordato che coloro che maturano il requisito entro la fine dell’anno, manterranno comunque il diritto. E questo non è un particolare di poco conto, perché tutti coloro che possono accedere a questa forma di pensionamento, potranno farlo anche se non lo hanno fatto prima. Si tratta di un esercito di aventi diritto, in gran prevalenza uomini, che hanno preferito continuare l’attività lavorativa. Perché se Quota 100 è stata una opportunità che ha agevolato molti cittadini imbrigliati dalla riforma Fornero, è vero anche che sono stati molti i lavoratori che non hanno avuto bisogno o volontà di abbandonare l’attività lavorativa, comportando un significativo risparmio sulle previsioni dei costi ipotetici dell’operazione.

 

Diverse sono le ipotesi di superamento della normativa. C’è quella minimalista che prevede il ritorno alla normativa Fornero con qualche aggiustamento di flessibilità per chi svolge lavori gravosi o è rimasto senza occupazione. C’è poi l’ipotesi che prevede una via intermedia con innalzamento di quota 100 a 64 anni e 38 di contributi (quota 102) o 41 anni di anzianità. Ma la fantasia delle soluzioni è variegata. Per chi si occupa di orientare i lavoratori e di assisterli c’è bisogno urgente di qualche certezza (non di norme transitorie di corto respiro). Seve un dispositivo valido almeno per un decennio, possibilmente da approvare con largo consenso onde evitare l’estenuante e stucchevole bagarre politica che disorienta le scelte dei pensionandi.

 

Inoltre anche in questo ambito c’è bisogno di un riequilibrio di genere. Le donne, che spesso arrivano alla pensione con carriere inferiori, con stipendi inferiori e col calcolo esclusivamente contributivo nel caso di “Opzione donna” sono già state penalizzate. Molte di esse, dopo la fase di transizione che le ha trascinate fino ai 67 anni che avrebbe permesso loro di accedere alla pensione di anzianità, stanno ora raggiungendo il traguardo dopo aver aspettato anche 7 anni rispetto al precedente requisito di 60 anni. Il riequilibrio potrebbe prevedere un riconoscimento più significativo del lavoro di cura di bimbi e anziani, almeno ai fini previdenziali.

 

Un ulteriore riequilibrio si rende necessario per i giovani: cosa si aspetta a prevedere forme di pensione minimale per le giovani generazioni? Aspettiamo che vi sia una rivolta contro un sistema previdenziale che, aggravato da anni di lavoro precario, interrotto ovvero sommerso si ripercuota anche sulla vecchiaia? Il tempo passa e molti anni sono già trascorsi invano dall’introduzione del sistema contributivo; ben 26 anni per coloro che hanno iniziato l’attività senza possibilità di maturare una pensione minima. I giovani, che dovrebbero essere al centro dello sviluppo del nostro Paese, sono invece le prime vittime della fabbrica delle diseguaglianze.

 

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