Lavoro in nero, sussidi in chiaro

Mercoledì 22 aprile 2020

A fronte di dati che registrano come un lavoratore su due chiede aiuti immediati – richieste che si traducono in 11,5 milioni di persone che ricorrono a cassa integrazione e bonus vari - in queste settimane uno degli imperativi del governo è trovare liquidità per imprese, autonomi, dipendenti. Tra le varie ipotesi acquista concretezza la previsione di una misura di reddito di emergenza, ad hoc per tutti coloro che hanno subito economicamente gli effetti della crisi coronavirus, a cominciare da precari e stagionali e che ricomprenda anche i lavoratori “in nero”. Quest’ultima ipotesi, da un lato, fa sobbalzare sulla sedia, dall’altro è “rivoluzionaria”. Di per sé parrebbe una contraddizione in termini, anche se è chiaro l’intento del Governo: per scongiurare una rivolta sociale, di cui si colgono sempre più le avvisaglie, si decide di dare un contributo anche a chi ha perso quello che, pur facendo una certa fatica a definirlo “lavoro”, nei fatti lo è. La sua perdita ha cancellato, per tanti, le uniche e “magre” entrate che questo garantiva, senza avere come paracadute le misure previste per i lavoratori “regolari”, in particolare per i dipendenti, per i quali è prevista la cassa integrazione, per di più con le versioni straordinaria ed in deroga. I lavoratori “in nero”, quindi, vengono praticamente equiparati agli autonomi… Tra i tanti pensieri, le tante valutazioni, le tante remore che un tal provvedimento può generare, limitiamoci a due considerazioni. La prima: in un momento tale, che si protrarrà non si sa per quanto, è giusto prevedere un reddito di emergenza e provvedervi per tutti, come vaticinato a più riprese da Papa Francesco, con la richiesta di un reddito universale.

 

Estendere il reddito potrà anche essere una visione assistenzialista e miope – come evoca qualcuno, anche chi in questi anni ha cercato di sussidiare il lavoro ed i consumi con ingenti risorse pubbliche – e sicuramente vanno percorse anche altre strade per il rilancio economico, ma tale misura risulta oggi giusta e necessaria. D’altro canto, anche solo culturalmente e pur con tutti i distinguo del caso (si dirà “è l’unica possibilità di lavoro”, “la situazione è imposta e non scelta”) ed ammettendo la considerazione che, nella disperazione, va bene tutto…, è una previsione che si fa comunque fatica ad accettare. In particolare una volta usciti da questo momento, sarà allora doveroso e necessario far presente a tutti che se, invece di essere in nero, quel lavoro fosse stato regolare, avrebbe generato risorse utili a sostenere i lavoratori. Concetto che vale in egual maniera per l’evasione fiscale.

 

 

Fabrizio Molteni, vicepresidente delle Acli provinciali di Brescia

 

 

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