In caduta libera

Venerdì 27 luglio 2018

Tratto dal numero 2/2018 di Battaglie sociali


Segni dei tempi
In caduta libera
 
di Angelo Onger

Il racconto della stagione interminabile della crisi che attanaglia la democrazia, in Italia ma non solo, è di difficile interpretazione anche perché descrive un percorso di cui non si sono ancora definite le origini, e tanto meno si intravedono gli sviluppi. Per tentare di capirne qualcosa forse è il caso di fissare qualche punto di riflessione. 

Primo. Il quadro generale disegna una campagna elettorale permanente in cui il confronto è basato per lo più sullo scontro. Il gioco preferito è quello dell’interdizione, ben raffigurato da una partita di calcio in cui le squadre non si preoccupano di fare gioco ma soprattutto di impedire all’avversario di giocare. In una partita in cui fra l’altro manca l’arbitro, rifiutato dai contendenti. Perchè non riconoscono le regole. Da qui la sequenza di scontri multipli e moltiplicati. Senza rendersi conto che alla fine tutti delegittimano tutti, istituzioni comprese.
 
Secondo. Ogni giorno assistiamo a un fuoco d’artificio di affermazioni, esclamazioni, slogan, e via sparlando, che non palesano nemmeno l’ombra di un ragionamento. Docenti e alunni universitari potrebbero studiare le dichiarazioni dei politici trasmesse dai telegiornali: raccoglierebbero una serie infinita di banalità proclamate da persone che parlano come dei pappagalli (fra l’altro, adesso basta un iPad per avere a disposizione un gobbo da leggere). Ma non va meglio quando i politici hanno più tempo a disposizione: affermano senza pensare, preoccupati (vedi sopra) soprattutto di delegittimare qualcuno per conquistare il voto di qualcun altro. Sconcertante il silenzio assordante sui problemi di politica estera (salvo qualche sparata irrazionale contro l’Europa). O sui problemi dell’ambiente. 
 
Terzo. Si lanciano promesse a gogò senza il supporto di progetti che rendano non tanto credibili le promesse stesse, ma per descriverne la realizzabilità e scandire i tempi necessari per tradurle in pratica. Nel corso delle ultime vicende post-elettorali, ho ascoltato uno dei leaders autoproclamatisi vincitori, che proponeva un governo politico a termine per realizzare la riforma delle pensioni, del fisco e della legge elettorale. Come dire, in sei mesi facciamo quello che non siamo riusciti a fare in trent’anni (per restringere il quadro al post-tangentopoli). 
Ora c’è un governo e c’è un programma (o contratto) che ancora una volta enumera problemi e avanza proposte di soluzione in termini generici dal punto di vista delle conseguenze politico-economiche, della fattibilità e dei tempi necessari. Con una supponenza di fondo che ignora (o immagina di poter ignorare) il contesto internazionale. Mattarella ha parlato di illusioni sovraniste: queste visioni sono pronte “a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili, certe comunque di poterne addossare l’impraticabilità all’Unione”. Un gioco politico poco responsabile e anche poco corretto, è il sottinteso presidenziale.
 
Gli interrogativi che tutto questo solleva non sono di poco conto: come abbiamo fatto a cadere così in basso? Quali sono le cause? Come se ne esce? Domande da niente. Risposte da pensare, in profondità, per non cadere nelle semplificazioni ignoranti, e per ciò, arroganti
Propongo un pensiero da sviluppare: alla radice di tutto ci stanno i cambiamenti che negli ultimi decenni (a partire dal ’68 per fissare un punto di riferimento), hanno sconvolto ruoli, strumenti, culture, aspirazioni, relazioni, equilibri socio-economici e quindi sociali, e chi più ne ha più ne metta. Il che costringe tutti a rimettersi in gioco, liberandosi innanzitutto dalla tentazione rancorosa di accollare i disagi relativi a qualche capo espiatorio di comodo (a partire dallo straniero). Alla fine c’è un tessuto sociale da ricostruire. Senza nostalgie per ciò che è stato e non sarà più.
 
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