Al lavoro con le Acli

Mercoledì 7 febbraio 2018

Al lavoro con le Acli

Le nostre idee e proposte in vista delle elezioni politiche del 2018

 

LA POLITICA, E’ IL MOMENTO GIUSTO

Gli italiani saranno chiamati alle urne il 4 marzo 2018 per eleggere un nuovo Parlamento al termine di una legislatura difficile. Al di là delle incognite che pesano sul quadro politico, questo voto è decisivo per le sorti del Paese. La recessione che ci siamo appena lasciati alle spalle ha profondamente indebolito la nostra società, ma la ripresa economica investe ora anche il nostro Paese.
L’Italia ha tutte le risorse e le opportunità per essere migliore e più giusta, anche quando affronta momenti difficili. Il livello di benessere, il grado di sviluppo del sistema economico e produttivo, l’insieme del sistema di welfare, la ricchezza del patrimonio culturale sono ingredienti del sistema Paese che devono essere valorizzati.
Ma non possiamo chiudere gli occhi sui problemi che rallentano o bloccano lo sviluppo. L’Italia sta invecchiando e i giovani non trovano lavoro o trovano lavori non sempre adeguati, qualcuno è costretto ad andare all’estero. La natalità è ai minimi storici. La scuola e la formazione non sembrano del tutto in grado di rispondere alle esigenze di una ripartenza sociale ed economica. Le diseguaglianze aumentano e l’economia procede per lievi miglioramenti che non necessariamente vanno a beneficio di chi ha bisogno. Infatti i livelli di povertà si mantengono, non accennano a diminuire, neppure per le famiglie. Si vive più a lungo ma non sempre la qualità della vita è adeguata. Il divario tra Nord e Sud, tra aree sviluppate ed aree povere, è un problema dell’Italia intera che vorrebbe una crescita maggiore ed equilibrata.
Il degrado delle periferie è il paradigma di uno sviluppo che deve ripartire da progetti di inclusione e di cura delle persone oltre che della qualità urbana e di servizi regolati ed efficienti. L’evasione fiscale non può essere oggetto di rassegnazione o addirittura giustificata.
La corruzione e le mafie, la commistione tra politica e malaffare non possono essere trascurati perché questo è il cancro che provoca sfiducia e disaffezione della cittadinanza gravando sulla qualità della democrazia.
A questi problemi come risponde la politica? Quale credibilità del personale politico, quale possibilità di una riscossa per invertire questa rotta, prima ancora di ogni proposta programmatica?
La rilevanza dei problemi elencati richiederebbe una pedagogia della proposta politica per una chiarezza di prospettive su tempi necessariamente lunghi contro il rischio di un consenso del breve periodo, allettato da soluzioni facili e semplici per ogni problema. In realtà ogni problema si connette con un altro in una relazione che – come ha scritto con straordinaria chiarezza papa Francesco nella Laudato Si’ – ci dimostra che nel mondo tutto è connesso, la povertà con l’ambiente, la criminalità con l’educazione, lo sport con l’economia, la finanza con il territorio. Connettere le questioni è politica: è riacquistare un “pensiero lungo” così necessario alle questioni intergenerazionali, che non sono risolvibili tra un’elezione e l’altra.
Proponiamo alcuni fattori, che possono guidare lo sviluppo e su questi avviare una grande opera di ripensamento.
 
- Noi riteniamo che l’istruzione e la formazione possano essere un fattore di crescita. Per questo occorrerà avviare uno sforzo eccezionale per la formazione di tutti e la riqualificazione professionale di adulti e disoccupati, specie in alcuni settori strategici. Un Paese sviluppato si fonda anzitutto sul capitale umano, sulla formazione dei suoi cittadini. L’istruzione e la formazione costano, ma l’ignoranza rischia di costare ancora di più.

- Noi riteniamo che anche il welfare possa essere un fattore di sviluppo. Sicuramente lo è dalpunto di vista umano: i percorsi di inclusione sociale aiutano le persone a svilupparsi. La lotta alla povertà è il primo ambito sul quale investire, generando risorse per poter permettere a tutti i cittadini di vivere dignitosamente. Partendo proprio dal Reddito di Inclusione, si potrebbe ricostruire tutta la filiera del welfare in un’ottica solidale e sussidiaria e dunque come tutelare i cittadini del XXI secolo.

- Noi riteniamo che il fisco possa essere un fattore dello sviluppo. Un Paese per tutti, nessuno escluso, si fonda sulla promessa di una uguaglianza delle opportunità, indipendentemente dal censo, dalla fortuna, dalla famiglia di provenienza. Perché ci sia un merito più del lavoro e meno della rendita serve un nuovo patto fiscale, dove vi sia più semplificazione e più trasparenza degli obiettivi comuni e più capacità di intervento in settori “dimenticati” (come per esempio le transazioni finanziarie, i colossi del web, le successioni sui grandi patrimoni). Povertà e diseguaglianza non sono un destino ineludibile, se si manovrano le giuste leve.

Dove applicare questi fattori? Come sperimentarli? Come applicarli?
I luoghi e gli ambiti di applicazione possono essere molti, ma alcuni ci paiono – in questa fase – più decisivi di altri. Eccone cinque.

L’Italia delle famiglie. L’Italia ama fare famiglia, tenere i legami affettivi sotto lo stesso tetto. Avviare delle politiche affinché le persone possano prendersi cura le une delle altre, perché nessuno sia lasciato solo e in povertà – soprattutto se minore – significa semplicemente accompagnare una tendenza naturale. 
Fare famiglia è un impegno pubblico, che la Repubblica ha il dovere di riconoscere e tutelare sotto forma di incentivi e di agevolazioni chiari, in termini di formazione, di fisco e di welfare. Sostenere la natalità, l’educazione dei figli, la protezione degli anziani non è solo questione di qualità della vita, è elemento centrale dello sviluppo e della coesione sociale.

L’Italia del lavoro e delle imprese. Anche questa è un’Italia che esiste e che ha dato luogo allo sviluppo; è quella delle imprese – soprattutto se piccole - della qualità e delle invenzioni: un tessuto capace di creare lavoro e reddito. Questa Italia va facilitata perché possa sperimentare di più, creare più lavoro, essere più interconnessa. Per questo occorrerà pianificare forme di sostegno e d’innovazione all’impresa, con istituti capaci di accompagnare la nascita o la trasformazione in alcuni settori merceologici, con incentivi che tengano anche conto dell’area geografica e dell’ambiente, con legami più precisi con l’istruzione e la formazione professionale, con la stabilizzazione del sistema duale, col sistema creditizio, col Terzo Settore, con la capacità di pensare alle tutele del welfare in un’ottica di distretto, di comunità economiche.

L’Italia dei corpi intermedi. È l’Italia del bene comune, della mediazione, della coesione sociale, della ricchezza e della molteplicità delle attività associative, sindacali, federative, informali, volontarie, attente alla costruzione della socialità, del dibattito pubblico. È un’Italia che c’è sempre stata, di grande tradizione popolare e professionale: un Paese che si unisce, che sperimenta anche la fraternità, per perseguire gli scopi di molti, per non ridursi all’individualismo asettico e impoverito, per formare il cittadino, come ci dice la Costituzione della Repubblica chiamandole – non a caso – formazioni sociali. È l’Italia che dona se stessa per essere meglio se stessa. È un’Italia che va anche sostenuta.

L’Italia dei Comuni e delle comunità. È la grande bellezza e la grande ricchezza di questo Paese, la storia che ha generato uno straordinario incrocio tra la natura e la cultura. I nostri territori, i borghi e le città sono anche forme d’identità, sono talenti su cui investire non solo per generare reddito, ma per capire profondamente chi siamo. Per questo anche le periferie sono l’occasione per ricostruire un’identità, soprattutto assieme ai tanti soggetti del Terzo Settore. Sul territorio si gioca la mobilità, l’ambiente, la riqualificazione urbana ed edilizia, l’integrazione culturale di luoghi sempre più ricchi di multietnicità, il primo presidio sociale ed educativo e il primo gradino di quella che potremmo chiamare riqualificazione democratica. Inutile ricordare la possibilità di percorsi di inclusione sociale, di riconoscimento dei diritti degli stranieri residenti e lavoranti. Lo ius soli non è ideologia politica: è una scelta giusta e intelligente che può aiutare l’integrazione, la coesione sociale, la scuola e perfino il lavoro, è una scelta da fare con criterio e condivisione.

L’Italia dell’Europa. L’Italia è stata protagonista di questa straordinaria storia che è l’idea di una grande Europa. L’Italia con più Europa è l’Italia che cerca di modernizzarsi, di favorire la mobilità dei nostri giovani perché possano istruirsi, conoscere, formarsi e fare famiglia e impresa in tutto il continente: perché possano essere tutelati da un modello europeo di welfare con regole comuni per il lavoro e il fisco. L’Europa è l’orizzonte strategico, la grande visione senza la quale ogni politica interna rischia di essere di breve respiro. L’Europa rappresenta anche la nostra più avanzata proposta di pace. Ormai sarebbe anche il caso di porsi alcune domande sulla produzione delle armi in Europa, uniformando la legislazione, evitando nazionalismi economici e condividendo un criterio con il quale affrontare le sempre più impellenti questioni esterne, quelle nel mondo, in cui l’Europa potrebbe avere un ruolo pacificatore particolarmente importante. Il richiamo del Presidente della Repubblica ai “ragazzi del 1899”, che andarono in guerra, rispetto ai “ragazzi del 1999”, che quest’anno voteranno per la prima volta, ci dice che in Europa anziché fronti contrapposti vige da 70 anni il principio della libera circolazione delle persone di cui hanno fruito anche i nostri lavoratori emigrati.

Le ACLI non vivono i “tempi brevi” della politica: le Acli ci sono.
Anche noi faremo la nostra parte. Come abbiamo fatto per la lotta alla povertà e per le tante campagne che in questi anni abbiamo costruito, partecipato, animato – dallo ius soli alla lotta al gioco d’azzardo, dalla difesa civile non violenta alla tassazione delle transazioni finanziarie – non faremo mancare il nostro aiuto. Noi ci siamo, e continueremo a pensare la politica a partire dai più poveri, dagli ultimi, magari – per nostra storia – con una particolare attenzione ai “penultimi”, a quelli che rischiano di impoverirsi. Le ACLI sono il luogo del ceto popolare. Un luogo di pensiero, di formazione e di utilità popolare per i bisogni dei cittadini con i loro servizi e le loro imprese.

Per questo non sprecheremo il nostro tempo a dire qualcosa contro qualcuno o – come scrive efficacemente il Censis – a vivere il rancore e il risentimento. Il punto di riferimento delle ACLI è e rimane la promozione degli interessi dei ceti popolari alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa, il quale esclude ogni forma di xenofobia, fascismo, razzismo e populismo.

Vogliamo pensare a quale Italia vogliamo, quale idea di Paese abbiamo. E noi pensiamo ad un’Italia che sente l’appartenenza all’Europa e lavora per realizzare un’Unione europea sempre più unita. Noi pensiamo ad un’Italia che investe nella formazione, dall’infanzia e per tutto l’arco della vita di ogni suo cittadino. Noi pensiamo ad un’Italia che lavora, perché tutti i soggetti – pubblici e privati – si impegnano per un’economia che dia a tutti un reddito e una qualità della vita più che dignitosa. Noi vogliamo un’Italia che non ha paura delle novità, delle culture, dello straniero, dell’incontro, del dialogo, perché sa aprirsi e accogliere con intelligenza, sa valorizzare i talenti, li aiuta persino a muoversi in Europa o nel mondo.

Noi pensiamo ad un’Italia dei comuni che valorizza il territorio. Noi pensiamo ad un’Italia che si impegna a rimuovere le condizioni che impediscono la libertà e la partecipazione, perché ha a cuore soprattutto chi è debole, povero, senza famiglia.

La politica è il momento giusto se sa cogliere il tempo e il luogo per affermare un’idea di giustizia sociale.

Pertanto in vista del 4 marzo chiediamo a tutte le forze politiche di esprimere con chiarezza quale Italia vogliono, con che progetti concreti, con che sogni, con che tempi. E a tutti i nostri concittadini chiediamo di non perdere l’occasione per esserci, per partecipare e votare.
In questo momento è l’unica cosa che conta.

 

IL LAVORO E LE IMPRESE

Il lavoro è, da sempre, componente fondamentale della vita dell’uomo, elemento integrale ed integrante della persona che lo presta, della sua identità, del senso di autostima, della dignità, della vita familiare, della presenza nella società e nella comunità locale. È il filo rosso che tiene legati tanti ambiti della vita e la persona, ogni persona.
In Italia il problema di creare nuova e “buona” occupazione rimane all’ordine del giorno. Inoltre, uno degli effetti più evidenti della crisi, è quello di aver accentuato la polarizzazione sociale nel mercato del lavoro, penalizzando in particolar modo i giovani, le donne ed altre categorie di lavoratori vulnerabili.

Per uno Stato come il nostro non è agevole innalzare i livelli di impiego, la via delle politiche di matrice keynesiana appare assai stretta. Occorre indirizzare le risorse pubbliche su obiettivi definiti, agendo sulle leve che possono avere ricadute positive in termini occupazionali.
Se è vero che la sfida posta dai mercati globali e da «industria 4.0» si gioca sul terreno delle competenze, della loro centralità nel continuo allineamento rispetto alle mutevoli esigenze del tessuto produttivo, la proposta per lo sviluppo del Paese non può che essere quella di rafforzare il sistema formativo; sia quello iniziale - per garantire a tutti i giovani il diritto e la possibilità di accedervi – che quello continuativo, ampliando l’offerta formativa per gli adulti, nell’ottica europea del “life long learning”. Accanto a ciò è necessario estendere (o creare) le tutele per i nuovi lavoratori, in particolare del web, cercando allo stesso tempo di incentivare l’occupazione giovanile.

In tale prospettiva, proponiamo:

Di creare un fondo dedicato al lavoro, per finanziare le politiche attive del lavoro, per sostenere le innovazioni e avviare nuove imprese, per accompagnare progetti di crescita che generino innovazione e lavoro. Un fondo così può essere finanziato attraverso la fiscalità diretta: prospettiamo l’introduzione di un 7x1000 esclusivamente per la formazione e il lavoro, per integrare il finanziamento di un grande progetto per la formazione ed il lavoro.

Di mettere a regime il sistema duale e potenziare il sistema degli Istituti Tecnici Superiori. È necessario aumentare e rendere stabili i finanziamenti, perché l’apprendistato formativo di primo e terzo livello diventi una diffusa modalità per raggiungere i titoli di studio di Istruzione e Formazione Professionale, Istruzione e Formazione Tecnico Superiore. Per lo sviluppo del sistema terziario professionalizzante l’offerta formativa degli Istituti tecnici superiori dovrebbe essere ampliata e diffusa.

Di dare maggiore spazio alla formazione nelle politiche attive del lavoro. La formazione è la prima garanzia per l’occupazione dei giovani e la principale e più importante politica attiva del lavoro. La programmazione regionale di Garanzia Giovani dovrebbe integrare l’azione di inserimento lavorativo con la formazione di specializzazione.

Di far sì che vi sia più formazione continua per i lavoratori; per far fronte alle sfide indotte dalle nuove tecnologie e dalle trasformazioni del mercato del lavoro, è necessario creare un sistema di formazione continua in grado di mantenere elevati i livelli di competenze necessari per affrontare le sfide della digitalizzazione, e promuovere una formazione lungo tutto l’arco della vita (life-long learning), riducendo il rischio di obsolescenza delle competenze ed il conseguente rischio di disoccupazione.

Di inserire nel nostro ordinamento nuove tutele per i lavoratori della Gig economy (economia dei “lavoretti”), che operano attraverso le piattaforme Internet. La presente proposta mira ad estendere a tali lavoratori le garanzie di base dalle quali oggi sono esclusi: ai rapporti lavorativi dei cosiddetti “lavoratori a chiamata” (es. i riders di Foodora), proponiamo di estendere la disciplina in materia di somministrazione di lavoro; sulle tutele dei “crowdworker”, sosteniamo l’introduzione delle cosiddette “organizzazioni ombrello” che offrirebbero a questi lavoratori, dietro la stipula di un contratto, continuità ai flussi di reddito e contribuzione previdenziale.

Di elaborare nuove forme contrattuali per il Terzo Settore. Molti soggetti che operano in questo settore vivono la duplice condizione di imprenditore e di lavoratore. Entrambe le posizioni meritano tutele specifiche, sostenibili e non precarie. In tante esperienze di animazione, ricreazione, produzione culturale ed artistica e sportiva, soprattutto i giovani trovano la loro intrapresa. Occorre dunque proporre forme contrattuali per attività occasionali, a progetto o di lavoro autonomo, che evitino confusioni tra ruoli volontari (si pensi anche solo ai nostri circoli).

Di reintrodurre lo strumento dei voucher lavoro, riportandolo alla sua funzione originaria, di modalità di pagamento di una forma lavorativa occasionale o accessoria, limitandone l’applicazione ad alcuni campi (quali, ad esempio, quello del lavoro domestico) che, diversamente, hanno elevata probabilità di finire nel “lavoro nero”, vietandolo alle aziende ed estendendolo alle realtà di Terzo Settore che offrono piccole occasioni lavorative a persone senza lavoro.

Di regolamentare le aperture festive/domenicali degli esercizi commerciali; un intervento legislativo è necessario visto che, senza regole, la libertà di concorrenza non è in grado di autoregolamentare il settore. È necessario frenare l’eccesso di aperture domenicali e festive delle attività commerciali, restituendo dignità ed equilibrio a imprenditori e lavoratori del settore, affinché si giunga ad una regolamentazione che, almeno, ci allinei con il resto d’Europa.

Per tornare a creare nuova e buona occupazione, non servono ulteriori riforme del lavoro ma politiche mirate, alcune delle quali contenute nelle nostre proposte. Serve un percorso lungo, costante e faticoso, che chiediamo alle forze politiche di dichiarare ed intraprendere con impegno e serietà, abbandonando la logica degli slogan e ponendo fine alla sterile girandola di illusioni, perché non si possono dare risposte semplicistiche a problemi complessi.

Per affrontare i problemi del mondo del lavoro, siamo consapevoli che le nostre proposte devono essere necessariamente accompagnate da un grande intervento che agisca sul “sistema Paese”, rendendolo più efficiente e competitivo. E’ necessaria un’alleanza tra politica (Governo), imprese e mondo del lavoro (in primis sindacato), per affrontare la caduta della produttività complessiva del Paese. Il tanto sbandierato taglio del costo del lavoro – in Germania spesso superiore al nostro – è solo uno dei fattori da affrontare, accanto alla qualità del capitale umano, alla riduzione della burocrazia, al miglioramento dell’efficienza ed alla riduzione dei tempi del sistema giudiziario, al contrasto della corruzione, al miglioramento e potenziamento delle reti digitali (e non solo o non più di quelle fisiche), al miglioramento dei meccanismi ed alla riduzione dei costi della concessione del credito e del sistema bancario in generale, all’ampliamento del numero ed all’abbattimento del costo delle fonti energetiche...

Solo rendendo più efficiente ed abbassando i costi del “sistema Paese”, tramite una “concertazione 4.0”, sarà possibile creare le condizioni tramite le quali le imprese tornino a creare “buona e stabile” occupazione.

  

L’AMBIENTE E IL TERRITORIO

I cambiamenti climatici si manifestano già oggi in tutta la loro forza distruttiva; risulta arduo riuscire a negarlo. Essi mettono a serio rischio la vita di persone, specie ed ecosistemi. Già nel 2013 l’Internal Displacement Monitoring Center evidenziava che l’anno prima erano 32,4 milioni le persone nel mondo costrette ad abbandonare la propria terra in conseguenza di disastri naturali. Mentre l’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati stima che entro il 2050 saranno 200 milioni coloro che migreranno per ragioni climatiche; in particolare aumenteranno le difficoltà per accedere all’acqua potabile in molti luoghi del nostro pianeta e contemporaneamente si ridurrà la produzione agricola e la sicurezza alimentare. Tutto ciò porterà ad aggravare le condizioni di povertà già esistenti e a conseguenti nuove cause di conflitti armati e migrazioni. I cambiamenti del clima sono una delle maggiori emergenze del tempo che viviamo. In Italia lo abbiamo visto l’ultima estate con un gravissimo periodo siccitoso, incendi che hanno distrutto 120mila ettari di terreni e poi con calamità come quella dell’alluvione di Livorno con la morte di 8 persone. È importante riconoscere che combattere il degrado ambientale e i cambiamenti climatici risulta essere anche una risposta significativa alla crisi occupazionale e un contributo importante all’innovazione del nostro Paese. Mettere in sicurezza il territorio che abitiamo, fermare il consumo/abuso di suolo, riqualificare le tante periferie urbane, limitare la vulnerabilità agli eventi climatici straordinari, aumentare la resilienza delle aree urbane e naturali per proteggere le persone e gli ecosistemi è l’investimento più conveniente che si possa fare. Per questo rilancio “ambientale” è di fondamentale importanza intervenire su alcune elementi in modo prioritario.

L’acqua. Le reti idriche in Italia sono generalmente vecchie e scarsamente manutenute. L’acqua potabile è una risorsa talmente importante da non poterci permettere di sprecarla. Si tende a considerare fisiologica una dispersione idrica inferiore al 10-15 % dell’acqua immessa nella rete degli acquedotti. Nel nostro Paese purtroppo sono solo 11 le città capoluogo a restare entro questa soglia.

L’aria. L’Italia è tra i paesi europei che più debolmente e senza politiche strutturali sta contrastando le periodiche emergenze dello smog, specie nei maggiori centri urbani della Pianura Padana. Dai blocchi estemporanei del traffico cittadino e dai generici inviti a tenere entro certe temperature i termostati, è indispensabile passare a un piano nazionale per riportare la qualità dell’aria che respiriamo a livelli accettabili in tutte le stagioni dell’anno, operando in modo radicale sulla mobilità urbana, intervenendo sull’efficienza e sul risparmio energetico degli edifici e sostenendo la crescita del “verde” urbano. Solo 14 città capoluogo hanno, nel contesto urbano, almeno un albero ogni quattro abitanti; decisamente poche visto il ruolo di spazzini dell’inquinamento riconosciuto alle piante, specie quelle sempreverdi.

L’energia. In dieci anni il numero di comuni in cui è installato almeno un impianto da fonti rinnovabili è passato da 356 a 7.978. In pratica tutti i municipi italiani ne hanno almeno uno e la progressione è stata costante. La diffusione capillare è necessaria a garantire che le rinnovabili possano direttamente rispondere alla domanda elettrica e termica di case, aziende, utenze, riducendo l’utilizzo della rete e integrandosi con altri impianti efficienti. L’Italia, alla fine del 2016, con 19.288 MW di pannelli installati è seconda in Europa solo alla Germania. Decisamente meglio i comuni medi e piccoli, mentre qualcosa in più si può e si deve fare nelle città capoluogo, che probabilmente necessitano di politiche d’incentivazione mirate.

Il suolo, l’urbanistica, le periferie. In Italia si continua a sigillare suolo vergine al tasso di quattro metri quadrati al secondo, tanto da avere un 7% del territorio nazionale impermeabilizzato. L’impermeabilizzazione del suolo comporta un rischio accresciuto di inondazioni e di scarsità idrica, contribuisce al riscaldamento globale, minaccia la biodiversità e suscita particolare preoccupazione allorché vengono ad esser ricoperti terreni agricoli fertili, resi non più produttivi. Difendere il suolo, una risorsa fondamentale per il nostro nutrimento rappresenta l’arma più efficace per la protezione dalle alluvioni e altri eventi catastrofici, ed è dunque una priorità di fronte alla quale servono risposte immediate e non più rinviabili.

Urge riformare la legge urbanistica, risalente al 1942, affinché si possa progettare un governo del territorio che passi dalla logica dell’espansione urbana a quella della trasformazione e della rigenerazione urbana. E’ necessario potenziare, attraverso un fondo specifico e permanente, il Piano a favore della

rigenerazione delle periferie, che permetta di sperimentare anche azioni sociali a sostegno dei progetti di inclusione sociale, di produzione culturale, di nuovo welfare.

La raccolta differenziata, il recupero delle eccedenze alimentari. Per affrontare in maniera significativa lo smaltimento dei rifiuti, contro cave e discariche inutili, contro il degrado del territorio e per sostenere il decoro delle città e delle periferie è necessario fare progressi decisivi nella raccolta differenziata. Ci sono in molte aree esperienze decisive e di avanguardia che vanno estese velocemente a tutto il territorio nazionale.

E’ importante incentivare gli Enti locali che concedono sgravi fiscali sulla Tari alle imprese che recuperano le eccedenze alimentari. Lo spreco alimentare è un paradosso inaccettabile dei nostri tempi: esso produce conseguenze negative dal punto di vista economico ed ambientale, ponendo seri dilemmi etici, specie di fronte all’aumento del numero di famiglie in povertà assoluta, che spesso soffrono di gravi deprivazioni alimentari. Per questo proponiamo di sostenere i comuni affinché premino le aziende impegnate nel recupero delle eccedenze della propria produzione alimentare. Con un semplice sgravio fiscale si possono ottenere diversi benefici sociali: le famiglie disagiate, con una dieta alimentare carente, possono ricevere cibo ancora fresco tramite gli enti di assistenza che ne curano la raccolta e il controllo di qualità; i comuni ottengono una considerevole riduzione sui costi di gestione dei rifiuti organici conferiti nelle discariche; le imprese virtuose risparmiano su un tributo che incide notevolmente sui loro bilanci. Il 12 ottobre 2017 il Ministero dell’Ambiente e l’ANCI hanno firmato un protocollo che impegna entrambi le parti a sviluppare la lotta agli sprechi alimentari, valorizzando le buone pratiche esistenti. In particolare, il Ministero adotterà misure per supportare gli enti locali che introdurranno le riduzioni tariffarie. Sosteniamo questo progetto istituzionale con le nostre esperienze territoriali qualificanti, a partire da Verona e Roma, per far sì che il recupero delle eccedenze si diffonda socialmente e culturalmente.

 

LE ISTITUZIONI E L’EUROPA

L’antipolitica è diventata un male cronico. Da oltre un ventennio ormai, in larghi strati e settori della nostra società montano sentimenti di avversione nei confronti dei partiti politici e una sfiducia generalizzata nei riguardi dell’operato dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese. La crisi ha accentuato il risentimento popolare, il crescente astensionismo elettorale ne è un sintomo evidente. Il passaggio dal timore reverenziale verso l’autorità costituita fino agli anni sessanta alle forme più spinte di denigrazione e di falsità odierne verso qualunque potere costituito, verso l’avversario politico, non è segno di civiltà ma di impoverimento sostanziale della democrazia. La politica che pure ha contribuito in modo significativo a questa deriva ora ne è vittima delegittimata. In questo contesto si crea spazio non solo per disinteresse, astensione e populismi di ogni genere; si crea spazio anche per derive neofasciste e razziste con manifestazioni pericolose e talora perfino subdole, ammantate magari dalla tutela dei più deboli.

La frattura tra i cittadini e la politica potrebbe essere in qualche modo ricomposta se ci fossero adeguati canali per promuovere la partecipazione dal basso, il pluralismo sociale e una semplificazione dell’attività di governance, per rendere più efficace e trasparente l’azione dello Stato a tutti i livelli (nazionale, regionale e comunale). Anche la legalità è un tema da coltivare con iniziative specifiche, per ricostruire un clima più favorevole attorno alle istituzioni e alla politica. La stessa leva fiscale può trasformarsi in uno strumento virtuoso per dare importanza alle scelte dei cittadini, sulla falsariga di quanto già avviene oggi con la contribuzione legata al 5x1000. Ecco alcune proposte.

Il rafforzamento degli istituti di democrazia partecipativa. Si tratta, in sostanza, di valorizzare gli strumenti di consultazione popolare che la recente bocciatura della riforma costituzionale (dicembre 2016) ha impedito di introdurre nel nostro ordinamento politico: la garanzia che le leggi di iniziativa popolare vengano discusse in Parlamento, i nuovi quorum per la validità dei referendum abrogativi, il referendum propositivo e di indirizzo, nonché altre forme di partecipazione al processo legislativo da parte dei cittadini

Una legge complessiva sul funzionamento dei partiti: regole chiare sulle primarie, laddove le forze politiche decidano di organizzarle per selezionare i propri leader e candidati; definizione di criteri certi in materia di iscrizione e composizione della base associativa; la garanzia della partecipazione degli iscritti in tutte le fasi di formazione delle volontà e delle decisioni, incluse quelle relative alla selezione delle candidature; la tutela delle minoranze interne e la parità di genere; la trasparenza delle fonti di finanziamento, dello stato patrimoniale e nella redazione dei bilanci; la contendibilità delle cariche, la regolarità del funzionamento degli organi direttivi; l’autonomia funzionale e decisionale degli organismi di garanzia e di controllo.

La riforma del CNEL, conferendo a questo organo costituzionale le seguenti funzioni: emissione di pareri obbligatori (ma non vincolanti) nel processo legislativo parlamentare sulle materie economiche e sociali; valutazione dell’impatto occupazionale e sulla competitività delle politiche nazionali e regionali; certificazione della rappresentanza delle forze sociali e del Terzo Settore; raccordo con le politiche economiche e sociali della UE.

L’elaborazione di proposte sul regionalismo cooperativo e solidale, che facciano della differenziazione dei percorsi di autonomia regionale un valore aggiunto, anziché una disordinata giungla di competenze.
Diversi fattori hanno reso più arduo il processo di integrazione europea in questi anni: la crisi dei debiti sovrani e la conseguente adozione di misure economiche di austerity, le divisioni interne legate alla gestione dei flussi di rifugiati politici che sfuggono dai focolai di guerra, il conflitto tra Ucraina e Russia. Queste ed altre tensioni sono alla base del deficit di legittimazione vissuto dalle istituzioni europee e spiegano, almeno in parte, il successo ottenuto dai partiti populisti che in diversi Stati membri (compresa l’Italia) propugnano una demagogia antieuropeista. Si tratta di ribaltare questa immagine e rilanciare il progetto europeo. È per questo un patto di fedeltà all’Europa, da sottoporre a tutti i candidati che si presenteranno alle prossime elezioni. Tale patto si fonda su sette punti qualificanti per il futuro della UE, rispetto ai quali chiederemo ai nuovi eletti di impegnarsi concretamente affinché diventino una priorità dell’agenda politica:

L’attuazione del Pilastro Europeo dei diritti sociali, proclamato ufficialmente nel “Vertice sociale europeo per un’occupazione e una crescita eque”, che si è tenuto a Göteborg il 17 novembre 2017. L’obiettivo di questa nuova strategia della UE è di rendere più inclusivo il mercato comune, adottando i principi e le tutele esistenti nei sistemi di protezione di numerosi paesi membri, tra cui un’equa retribuzione, l’accesso all’assistenza sanitaria, l’apprendimento permanente, una migliore conciliazione tra vita professionale e vita privata, la parità di genere e il reddito minimo.

Un maggiore investimento nelle politiche di mobilità internazionale a beneficio dei giovani per motivi di studio e professionali, non solo all’interno dei confini della UE, ma anche in altre aree geografiche del mondo.

La costruzione di partiti realmente transnazionali, anche a seguito della recente riforma promossa dalla Commissione Europea.

La costituzione del dipartimento della Difesa civile non armata e nonviolenta (campagna “Difesa civile non violenta”).

Una forte azione di pressione politica nelle sedi istituzionali, nazionali ed europee, a sostegno della Campagna “005” per l’introduzione di una tassa dello 0,05% sulle transazioni finanziarie.

Reintroduzione della separazione tra banche commerciali e banche d’affari.

Introduzione di una tassazione sugli utili delle imprese nei paesi in cui si genera il profitto, per evitare che le multinazionali spostino le ricchezze prodotte da una Nazione e nei “paradisi fiscali”.

 

IL SISTEMA DI WELFARE

La crisi ha indebolito la capacità dello Stato di offrire un supporto ai cittadini nelle difficoltà quotidiane, anche le più elementari. I tradizionali pilastri pubblici su cui si fonda il welfare nel nostro Paese hanno subìto gli effetti negativi di una significativa diminuzione delle risorse ad essi assegnate, soprattutto la sanità e l’assistenza sociale. Le famiglie risultano d’altro canto più fragili e impoverite economicamente: la presenza di minori, di persone con disabilità o di anziani non autosufficienti aumenta il rischio di cadere nella spirale della povertà. I nuclei familiari sono spesso costretti ad integrare l’offerta pubblica di prestazioni socio-sanitarie con risorse proprie: le famiglie italiane, nel 2017, hanno speso circa 109 miliardi di euro per salute, assistenza e previdenza, anche perché i servizi pubblici sono carenti o scarsamente efficienti. È necessario definire livelli essenziali di assistenza sociale, come prevedeva la legge 328/2000, validi su tutto il territorio nazionale, superando provvedimenti parziali, sperimentali e temporanei, evitando duplicazioni tra livello nazionale e regionale. La sussidiarietà va valorizzata specie nella componente del sistema dei servizi sociali territoriali.

Adeguamento economico del Reddito di Inclusione (REI) e miglioramento della misura di reinserimento. Con l’introduzione del REI, anche l’Italia si è dotata di una misura nazionale, strutturale, contro la povertà assoluta. Si tratta di un provvedimento cruciale per il nostro Paese, ma i passi da compiere sono ancora molti, c’è un problema di risorse sia per quanto riguarda l’importo dei contributi economici sia relativamente alla disponibilità di servizi. E’ necessario proseguire nell’ampliamento graduale della misura come è stato fatto con la legge di bilancio 2018.

Interventi per sostenere le famiglie e favorire la natalità riconoscendo il valore sociale della maternità e del lavoro di cura. Le molteplici prestazioni attivate in questi anni, parziali e spesso sperimentali non hanno sortito effetti significativi, né sul versante della natalità, né nel promuovere la formazione delle famiglie. Gli ostacoli sono anche di natura culturale e di stili di vita ma occorre una strutturazione delle politiche per la famiglia dando per assodato che, a monte, è necessario rimediare con politiche occupazionali adeguate per le giovani generazioni. Il tema va affrontato con provvedimenti strutturali ed omogenei economici per la maternità e la cura dei figli (prestazioni di natalità, di sostegno dei costi degli asili nido e delle scuole materne, di agevolazioni fiscali ed assegni familiari), nel favorire in modo più deciso la conciliazione tra vita lavorativa e lavoro di cura attraverso sostegni economici e politiche fiscali, attraverso possibilità di sospensione dell’attività lavorativa senza perdere la possibilità di reintegro nel posto di lavoro.

Definizione di livelli essenziali delle prestazioni per la non autosufficienza. L’Italia è un Paese diseguale dal punto di vista delle politiche sociali in special modo nei servizi connessi all’invecchiamento della popolazione. Occorre realizzare un sistema di assistenza in grado di offrire a tutti i cittadini un sostegno adeguato, che sappia “dialogare” con il territorio. È tempo di attivare un tavolo di confronto tra tutti i soggetti coinvolti in questo tipo di problemi, coinvolgendo in particolare gli organismi della società civile e predisporre normative di sostegno ai caregiver familiari utilizzando e implementando le risorse previste nella legge di bilancio 2018. E’ necessario rafforzare gli strumenti di agevolazione fiscale a favore delle famiglie che si avvalgono della collaborazione di un addetto all’assistenza personale (la cosiddetta “badante”) contribuendo così anche all’emersione di forme di irregolarità nella conduzione dei rapporti di lavoro.

Principio universalistico, e non più solo selettivo, di flessibilità nell’accesso alla pensione. Attualmente la flessibilità pensionistica è molto selettiva (vedi Ape sociale, lavoratori “precoci”, lavori gravosi e usuranti). Si potrebbe pensare di consentire l’accesso alla pensione in una età libera opzionabile da ciascun lavoratore, a partire da un requisito anagrafico minimo, ragionevolmente tra i 63 e i 65 anni, e prevedendo un rendimento pensionistico crescente o decrescente a seconda dell’età di accesso alla pensione. Bisogna inoltre perseguire l’idea di un trattamento pensionistico adeguato per le giovani generazioni. Una particolare criticità del sistema contributivo, indirizzato alle nuove generazioni, è rappresentata dalla mancata previsione di un trattamento minimo di pensione (integrazione della pensione ad un importo minimo vitale in presenza di uno stato di indigenza economica). Premesso che a monte la pensione può essere adeguata solo in presenza di accantonamenti contributivi rilevanti, frutto di lavoro regolare e continuo, è però necessario prevedere nel sistema previdenziale pubblico un sistema di solidarietà tale da garantire un risultato di base, a garanzia anche dei futuri pensionati. Questo sia per i pensionamenti di vecchiaia ma, a maggior ragione e con urgenza, per i giovani che nel sistema contributivo devono ricorrere a pensioni di invalidità o di reversibilità che nel sistema contributivo sono spesso di importo irrilevante. E’ anche necessario rimediare allo sbarramento che richiede una soglia minima di importo pensionistico per chi, nel sistema contributivo puro (contribuzione solo dal 96 in poi) vuole accedere alla pensione prima dei 70 anni.

Prosecuzione della campagna “l’Italia sono anch’io” per giungere al varo della legge sullo ius soli che prevede (su proposta di legge di iniziativa popolare sottoscritta da più di 200mila cittadini italiani), la revisione della normativa sulla cittadinanza ed il diritto di voto agli stranieri residenti in Italia. I minori stranieri in Italia sono 900mila, di cui oltre 500mila sono nati nel nostro Paese; complessivamente rappresentano il 7% dell’intera popolazione scolastica. Con la mancata approvazione della legge nella scorsa legislatura si è persa una grande occasione.

La campagna “Ero straniero” tenta da una parte di cambiare il racconto sull’immigrazione; dall’altra, attraverso una legge di iniziativa popolare, cerca di modificare l’attuale legislazione, per adeguarla ad un Paese in cui gli immigrati regolari superano ormai i 5 milioni. La proposta tocca quattro ambiti fondamentali: l’accoglienza e i processi di inclusione; il lavoro; il sistema di accesso al welfare e i diritti politici. In particolare si propone tra l’altro: l’introduzione del permesso di soggiorno temporaneo per ricerca lavoro; la regolarizzazione su base individuale degli stranieri radicati; l’inclusione attraverso il lavoro dei richiedenti asilo; l’abolizione del reato di clandestinità.

Deduzione completa delle spese sanitarie per i nuclei familiari sotto i 40.000 euro annui, con possibilità di rimborso per gli incapienti. Un sistema pubblico che si definisce universalistico e che si fonda sul diritto alla salute costituzionalmente garantito non può dirsi tale in presenza di una spesa sanitaria privata pro-capite pari in media a euro 532 annui (Rapporto Oasi 2016 Censis) e di un sistema di defiscalizzazione delle spese mediche per il solo 19%, al netto di una franchigia di euro 129 annue. La proposta di consentire la deduzione del 100% delle spese sanitarie (senza franchigie) per le famiglie che hanno un reddito inferiore ai 40.000 euro, con la possibilità di vedersi rimborsato effettivamente l’importo per cui si risulti incapienti, vuole rendere universalistico il diritto alla salute almeno per questa fascia di cittadini, mantenendo l’attuale sistema per tutti i redditi familiari superiori a 40.000 euro.
  

 

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