Report dei redditi bresciani

Venerdì 18 febbraio 2011

Viene pubblicato il Report dei redditi bresciani giunto alla terza pubblicazione, presentato in occasione del Forum dei Redditi bresciani del 19 febbraio 2011, presso l'Istituto Artigianelli di Brescia.

Il report è stato redatto dalla commissione lavoro e dal Caf-Acli, partendo dai dati ricavati dalle 35763 dichiarazioni dei redditi che nel 2010 sono state elaborate dal Caf-Acli di Brescia. 

Riportiamo di seguito le conclusioni finali contenute nel Report.

 

Il terzo Rapporto sui redditi permette di esaminare le varie voci prese in considerazione avendo a disposizione un lasso di tempo sufficiente per poter abbozzare alcune considerazioni ed alcune tendenze. La nostra rilevazione – nella quale l’81% delle dichiarazioni rappresenta la cosiddetta fascia popolare (quella che abbiamo sempre detto di voler rappresentare e sostenere anche politicamente) – ci conforta ancor più del valore e dell’importanza della funzione che svolgono le Acli nella società, anche in termini di servizi e di aiuto. Ci conferma quindi che il servizio che svolgiamo ha una finalità di utilità sociale, appunto per l’attenzione dedicata alla fascia popolare.

Si evidenzia innanzitutto la stagnazione del livello reddituale: i redditi dei bresciani non crescono, e anzi i più deboli continuano a perdere potere d’acquisto. Il dato nazionale indica che il 20% più ricco possiede il 37% del reddito disponibile, mentre il 20% più povero solo l’8%. Un aspetto che viene confermato anche dai nostri dati, visto che, il reddito medio della fascia più bassa rappresenta solo il 9% di quella più ricca e se includiamo anche quelli fino a 28mila euro (quelli che abbiamo definito come fascia popolare), il rapporto è del 16%: 16mila euro contro i 41mila euro.

A conclusione di questo Rapporto vogliamo evidenziare il disagio ed il conseguente richiamo alle responsabilità della politica, per quelli – come risulta anche da questa rilevazione – che sono i soggetti più deboli: gli anziani non autosufficienti (e le loro famiglie), i giovani, gli immigrati, le donne. La mancanza di novità per quanto riguarda le spese detraibili non permette ai contribuenti di recuperare dal fisco il mancato aumento del reddito: le detrazioni sono le stesse del 2008.

Si evidenzia il crescente numero di soggetti anziani che necessitano dell’aiuto di una badante oppure della casa di riposo: l’urgenza del problema richiede una particolare attenzione da parte della politica e degli enti locali. Le soluzioni possono essere diverse, sia dal punto di vista tecnico che politico: quel che è certo è che le famiglie non possono reggere a lungo queste situazioni, e necessitano di un supporto economico e sociale al fine di poter gestire la complessità dei bisogni delle famiglie. I dati che abbiamo rilevato, sia per quanto riguarda la spesa per l’assistenza personale (badanti), sia per l’assistenza presso le case di riposo, porta a sollevare il tema della non autosufficienza. Anche per questo è necessaria una riforma fiscale per l’aiuto al reddito, per affrontare cioè una riforma del welfare al fine di tutelare la dignità della persona. Sostenendo questa prospettiva vale la pena di ricordare che la legge 328/2000 aveva – e potenzialmente ha ancora – delle prospettive importanti. In primo luogo in termini di integrazione di servizi socio assistenziali, in secondo luogo attraverso la valorizzazione delle autonomie locali, introducendo il principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale, capace di far emergere quel capitale sociale presente nelle comunità, coinvolgendo in un ottica di partecipazione i soggetti del Terzo Settore. Purtroppo il disegno di questa legge non è stata adeguatamente sostenuto in termini di finanza pubblica.

Abbiamo guardato alla rilevazione del sistema pensionistico complementare. Anche noi dobbiamo decretarne il fallimento, ma non ne siamo certo contenti! Dobbiamo porci la domanda fondamentale: chi ci rimette? L’aspetto della previdenza complementare ci permette di sollevare la questione dei giovani lavoratori che rischia di divenire drammatica; una generazione che da troppo tempo è in sofferenza. Parliamo dei giovani il cui tasso di disoccupazione ha ormai raggiunto il 29% e dei giovani dai tanti contratti atipici, discontinui, precari. Quale sicurezza sociale per la vecchiaia possono costruirsi i nostri giovani? Accanto alle rilevazioni sulla disoccupazione, si stanno minando anche le basi di una pacifica convivenza sociale. Per i giovani si prospetta una situazione che se oggi è di precarietà lavorativa, quindi economica (contratti atipici, discontinuità lavorativa, precarietà), in futuro si trasformerà in precarietà sociale non potendo contare su una pensione che invece i loro nonni e padri hanno potuto godere.

Abbiamo l’obbligo di iniziare a parlare di pericolo povertà e chiedere alla politica di intervenire adeguatamente. Altrimenti il rischio è che anche quella che un tempo era la classe media cada nella povertà.

Vogliamo sottolineare ancora la situazione degli immigrati, soprattutto in un momento come quello attuale dove sulle sponde del Mediterraneo si affacciano movimenti di libertà democratica a cui non possiamo essere indifferenti. La presenza e la vicinanza di questi fratelli vanno vissute come una reciproca opportunità. Questo si deve tradurre nell’attenzione alle famiglie immigrate, soprattutto ai bambini e alle bambine, sostenendoli ed aiutandoli nella crescita scolastica. Se, come ricaviamo dal Rapporto, nell’ultimo anno gli utenti immigrati collocati nella prima fascia di reddito (fino a 15mila euro), hanno subito una perdita di potere d’acquisto in media di 600 € (il doppio rispetto a quanto emerso per la generalità dei contribuenti: -366 euro), abbiamo anche in questo caso l’obbligo di sostenere i loro figli, con adeguate politiche scolastiche e di sostegno – anche coinvolgendo le associazioni non profit – alla loro crescita personale e sociale.

L’altro soggetto debole a cui deve andare la nostra attenzione è il genere femminile. A maggior ragione in un momento come l’attuale dove molte scendono in piazza per rivendicare la loro dignità di donne. Abbiamo rilevato che il reddito delle donne è minore del 36% rispetto a quello maschile, ma l’aspetto preoccupante è che questa forbice è in continua crescita. Infatti negli ultimi 2 anni è ancora cresciuta del 2%: un trend che deve essere invertito andando contemporaneamente incontro anche ai desideri naturali delle donne ad essere mamme. Il bilancio demografico nazionale dell’ISTAT (2007) mette in luce come in Italia il numero di figli desiderati (2,2) sia ampiamente al di sopra del tasso effettivo di fecondità (1,38). Un tasso quest’ultimo tra i più bassi d’Europa che non potrà non avere pesanti ripercussioni, sia sul fronte interno del Paese, in una minore capacità a produrre ricchezza, sia su quello internazionale, in una perdita di competitività con le altre nazioni. In Italia, circa una donna su cinque, quando diventa madre decide di lasciare il lavoro. Per rendere concretamente realizzabile la prospettiva di sostegno alla genitorialità e all’accesso al lavoro è necessario coniugare in modo efficace le politiche della formazione, quelle del lavoro, e del welfare, adottando una serie di strumenti concreti che sappiano offrire nuove e diverse possibilità di lavoro alle donne, rispettando i tempi di vita della famiglia ed il valore sociale del lavoro di cura; che sappiano in sostanza conciliare i tempi di vita e di lavoro.

Infine il tema della scommessa del rilancio anche economico del nostro Paese. Per quanto limitata possa essere la nostra rilevazione, emerge chiara la voglia dei cittadini di investire su uno sviluppo sostenibile dal punto di vista del rispetto ambientale. La strada per noi è emersa da quel continuo incremento delle detrazioni per risparmio energetico; aspetto che diventa altresì indispensabile anche a sostegno dell’economia, dello sviluppo di quella “green economy” che già atri Paesi hanno avviato. Le detrazioni fiscali come quella sul risparmio energetico, si dimostrano indispensabili oltre che per stimolare l’economia, anche per combattere l’evasione fiscale. Investire risorse in queste agevolazioni risulta quindi efficace e da ottimi risultati.

 

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