Quota 100, Fap Acli: bene la flessibilità in uscita ma urge riforma strutturale

Lunedì 11 febbraio 2019

Comunicato della Fap-Acli nazionale condiviso dalla sede bresciana

 
Rispetto alla recente norma che introduce la cosiddetta Quota 100, la Fap (Federazione Anziani e Pensionati) delle Acli, pur apprezzando lo sforzo di garantire un ulteriore strumento di flessibilità in uscita dei lavoratori, - nello specifico la possibilità di accedere alla pensione con 62 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi -, ritiene che le logiche di solidarietà e redistribuzione dovrebbero essere scelte condivise con le parti in causa. Inoltre andrebbero definiti bene i destinatari di tali forme di solidarietà, attraverso una corretta disamina delle situazioni che meritano maggiore tutela, quali lavori pericolosi e usuranti oppure chi perde il lavoro in età avanzata. Soprattutto, proprio per come la crisi ha colpito i giovani di questo Paese, è necessario approntare in tempo una politica previdenziale rivolta a quella quota delle giovani generazioni costrette a lavori scarsamente remunerati, precari e intermittenti e che, dunque, non stanno maturando accantonamenti contributivi significativi, rischiando di essere i pensionati poveri di domani. 
La sensazione è che Quota 100 sia stata un’operazione spot poco sostenibile da un punto di vista economico e orientata a raccogliere solo un facile consenso. Da qui il monito della Fap Acli perché venga ribadita l’importanza di una riforma strutturale delle pensioni in grado di tutelare quegli anziani e quei pensionati in forte difficoltà economica e sociale i quali hanno potuto resistere alla crisi grazie alla presenza di misure normative e previdenziali specifiche, tra le quali il meccanismo di perequazione automatica.
 
Quest’ultimo si configura come l’unico modo col quale è possibile mantenere il loro potere d’acquisto a fronte di un eventuale aumento del costo della vita. Infatti molti pensionati, riceveranno ogni mese, meno di quello che avrebbero potuto prendere in un primo tempo, diminuendo, di fatto, il loro potere di acquisto, già ridotto da sette anni a causa del mancato adeguamento delle pensioni al costo della vita.
 
Su pensioni lorde di 3-4 mila euro lordi mensili la perdita può aggirarsi tra i 100 i 300 euro annui. A una lettura frettolosa e inesperta, possono sembrare cifre modeste, ma in realtà la diminuzione va moltiplicata per ogni anno a venire fino alla durata della pensione non essendo possibile recuperare in futuro il minore introito di questi anni. E alla fine si può arrivare ad alcune migliaia di euro che comportano, a spese dei pensionati, risparmi di alcuni miliardi.
 
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