Banche popolari: novità complesse

Giovedì 2 aprile 2015
Da "La Voce del Popolo" del 2 aprile 2015
Banche popolari: novità complesse
Scenari nuovi per realtà radicante nel territorio

Con la conversione in legge del decreto n. 3 del 20 gennaio 2015 è entrata in vigore la dibattuta riforma delle banche popolari che impone ai dieci maggiori istituti, con un attivo superiore agli 8 miliardi di euro, la trasformazione entro 18 mesi in società per azioni. Come interpretare questa scelta del governo Renzi che ha voluto fortemente inserire la norma del cosiddetto “Investment compact” destinato alla riforma del sistema bancario e al rilancio degli investimenti? Riformare il comparto delle banche popolari è una sollecitazione che esiste da tempo e che arriva da più parti, per ridurne la frammentazione, per accrescerne i patrimoni e incentivare la loro capacità di fare credito, per favorire il ricambio delle classi dirigenti. Tuttavia, al di là della difesa di interessi, istanze localistiche e altri fattori frenanti, una riforma delle popolari è complessa e difficile in quanto si tratta di un settore tutt’altro che inefficiente. Proprio il radicamento con il territorio è stato punto di forza delle popolari in questi anni di crisi, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Nate in Germania nel 19° secolo, per contrastare l’usura e permettere ai meno abbienti l’accesso al credito, si sono rapidamente diffuse in Europa e nel resto del mondo; in Italia la prima banca popolare nacque a Lodi nel 1864.
I tratti salienti che distinguono una banca popolare da una società per azioni sono il vincolo territoriale, il limite di possesso di capitale sociale in ogni socio, la mutualità non prevalente e il voto capitario, una testa un voto, indipendentemente dal numero di azioni possedute. Inoltre esiste una clausola di gradimento che prevede la subordinazione del trasferimento dei titoli al preventivo consenso del cda della banca stessa. Gli stretti vincoli legislativi non hanno impedito alle principali banche popolari italiane di raggiungere dimensioni primarie nel panorama finanziario nazionale, sette di esse sono quotate in Borsa e sono soggette alla vigilanza della Bce alla pari delle banche ordinarie. La trasformazione in società per azioni, oltre ad altri aspetti, toglie il vincolo del voto capitario e della clausola di gradimento rendendo gli istituti di credito scalabili da altre banche e da portatori di capitale esterni al contesto locale. Rimangono invece invariate le norme per le banche popolari di dimensioni minori che continuano ad essere regolate dalla legislazione preesistente confermandone la funzione di sostegno delle economie territoriali. Il decreto recentemente convertito in legge non prevede invece regole per le banche di credito cooperativo alle quali è stato dato compito di predisporre un’autoriforma che sarà oggetto di futura valutazione dagli organi di vigilanza, ma che sta già alimentando un ulteriore forte dibattito per la salvaguardia delle autonomie gestionali dei singoli istituti.

Lorenzo Zorzi

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