EUROPA: insieme stiamo in piedi, divisi cadiamo

Giovedì 23 maggio 2019

 

Documento della Presidenza provinciale
sulle Elezioni europee del 26 maggio 2019

 

 

A tutte le donne e gli uomini liberi e forti, che sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori di una grande comunità europea, facciamo appello perché uniti si continui insieme questa grande storia, questo lungo, difficile ma entusiasmante cammino di giustizia, di libertà e di fraternità. Infatti, da oltre settant’anni, molti Stati condividono una straordinaria capacità di osare il futuro per vivere un destino comune di pace e di progresso. Sane democrazie e governi popolari cercano di contemperare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i più alti interessi internazionali. Per questo si sono realizzati progetti e create istituzioni, per dar corpo ad un’idea di giustizia e di libertà che si potrà realizzare solo rinnovando una forte volontà politica.
 
Noi crediamo in una Europa che sia ancora luogo di pieno e libero sviluppo della persona umana e della comunità, in ogni sua dimensione, sia essa economica, culturale, religiosa e civile. Noi crediamo in una Europa che sappia coltivare una memoria per essere ciò che appartiene alla sua più vera anima. Anche per questa memoria crediamo che i sacrifici fatti per la difesa dei propri confini, siano oggi da trasfigurare in sacrifici per la condivisione della stessa terra, degli stessi processi sociali e normativi. Per questo rigettiamo ogni tentazione di semplificare un’azione politica riducendola a sola questione finanziaria e burocratica. Per questo rigettiamo ogni sovranismo e ogni altra tendenza politica che cerchi di indebolire la volontà unitaria. Per questo rigettiamo ogni chiusura, soprattutto culturale - che non significhi ovvia difesa dai pericoli – perché una società aperta e laboriosa è la miglior garanzia per un avvenire di pace e sviluppo.
 
Chiediamo ai governi europei di rafforzare l’Europa sociale attraverso l’applicazione del pilastro sociale europeo e di mettere al centro il lavoro e l’impresa come strumento di crescita relazionale e culturale della comunità, investendo su nuove tutele per le giovani generazioni e per le famiglie. È necessario continuare nella strada della cooperazione politica che l’Europa rappresenta, mettendo in comune la difesa dei nostri paesi e i servizi di intelligence e sicurezza e implementando politiche ambientali improntate allo sviluppo dell’ecologia integrale. Infine, è urgente proseguire nell’investimento in cittadinanza europea, lo strumento di pace più potente a nostra disposizione: le opportunità di mobilità europea per i giovani devono essere moltiplicate per crescere generazioni di ragazzi che abbiano identità plurime, che riconoscano nell’altro un pezzo della propria esistenza.
 
Questi temi di concretezza sono essenziali per costruire un’unità europea capace di saper aspirare anche a molto più. L’Europa, che è nata dalla cultura del cristianesimo e proprio per questo ha saputo accogliere e contemperare ogni differenza, può essere il più importante soggetto internazionale di pacificazione. La pace nel mondo richiede atti e soggetti di pace. L’Europa può esserlo.
 
Noi ci siamo impegnati partecipando al dibattito pubblico e offrendo occasioni di studio e di approfondimento popolare, insieme a tante altre realtà bresciane che credono nell’Europa come bene comune, uniti nell’Alleanza Brescia Europea.
 
Chiediamo dunque a tutti i cittadini bresciani, in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, di votare candidati e partiti che abbiano a cuore i principi che abbiamo qui scritto e che si impegnino a perseguire le proposte concrete avanzate dalle Acli sui temi della pace, del lavoro e dell’uguaglianza, riassunti in questa pagina e nel documento che si può scaricare cliccando qui
 
 
 
L'EUROPA. 
UN'ANIMA DI PACE
 
Un corpo civile di pace per l’Unione Europea
 
L’importante investimento nell’ultimo bilancio UE per il corpo di solidarietà europeo è un passo nella direzione giusta dello scambio culturale e della promozione del volontario. Adesso l’Europa deve avere il coraggio di costruire ponti culturali nel mondo per veicolare il nostro modello di sviluppo sostenibile. Questo è possibile solo se si investe sulle relazioni tra i giovani europei e gli altri popoli attraverso una misura tesa a rafforzare le relazioni tra i protagonisti della geopolitica mondiale. L’allargamento della misura del corpo di solidarietà europeo alla dimensione internazionale potrebbe significare il primo seme che gettiamo nella costruzione di un mondo più aperto e più solidale.
 
 
L’Europa come fattore nella politica globale
 
Una delle novità emerse dalle recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento in Germania è costituita dal mutamento della posizione tedesca in merito alla riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU, massimo organo decisionale di questa Organizzazione, al quale gli Stati membri riconoscono la responsabilità principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Come è noto, il Consiglio di sicurezza comprende quindici membri, di cui cinque permanenti, aventi anche il c.d. diritto di veto su ogni delibera importante (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, USA) e dieci non permanenti eletti dall’Assemblea generale dell’ONU per un biennio e non immediatamente rieleggibili. Riconoscere il seggio permanente all’UE sarebbe un importante segnale di fiducia nei confronti del ruolo politico che l’Unione europea potrebbe svolgere a livello internazionale.
 
 
Sciogliamo gli eserciti nazionali per una difesa unica europea
 
La pace ha un costo ed è quello della democrazia e della diplomazia. L’obiettivo dell’esercito unico europeo significa che le spese militari dei Paesi dovrebbero confluire nel fondo militare strategico europeo senza moltiplicare questo sforzo economico. Questa significa liberare risorse importanti per la rivoluzione ecologica che il nostro continente deve affrontare. Liberare i 13 miliardi destinati al fondo strategico militare per agevolare il lavoro “verde”, l’abbattimenti delle emissioni nocive e sostenere l’economia circolare significa spingere la società verso il lavoro buono, ecologico e sostenibile.
 
 
L'EUROPA
UN'ANIMA DI LAVORO
 
La formazione come tutela dei nuovi europei
 
Le misure di contrasto alla disoccupazione giovanile di questi anni hanno avuto, purtroppo, un impatto limitato sui giovani europei. Sono più di 5 milioni in tutto il continente i ragazzi che ad oggi non studiano e non lavorano. Questa fascia di popolazione è la più fragile rispetto ai cicli economici sempre rapidi. Dall’altra parte la mobilità sociale risente sempre di più dell’aumento dello spostamento della ricchezza nelle mani di pochi e costituisce in modo sempre più evidente una frattura economica e sociale importante. Oltre all’investimento nei progetti di volontariato e mobilita europea sarà determinante nei prossimi anni garantire la formazione long life learning come tutela per ogni giovane lavoratore che si confronta con una realtà sempre più veloce e complicata da comprendere. Una tutela che garantisca la possibilità di costruire esperienze di formazione transnazionale che generino valore economico e sociale.
 
 
Tassazione delle rendite finanziarie (introduzione del TTF)
 
La TTF è una piccola tassa che verrebbe applicata a tutte le transazioni sui mercati finanziari. Si applicherebbe in particolare a ogni transazione finanziaria perpetuata attraverso lo scambio di azioni, di contratti futures o di qualunque altro strumento finanziario scambiato fra operatori attivi sui mercati. La tassa riguarderebbe tutte le transazioni finanziarie (scambi di azioni, obbligazioni, scambi valutari e contratti derivati) sia sui mercati regolamentati che over the counter (OTC).
Si applicherebbe limitatamente alle transazioni fra attori operanti abitualmente sui mercati finanziari che spesso avvengono in modo del tutto automatizzato e speculatorio. Le transazioni come pagamenti per beni e servizi, prestazioni lavorative, rimesse all’estero non sarebbero soggette alla TTF. Prestiti interbancari a breve termine e tutte le ordinarie operazioni bancarie (prelievi, versamenti, bonifici, ecc.) sarebbero esclusi dall’applicazione della tassa. Parte del gettito raccolto (potenzialmente il 50%) verrebbe impiegato per ridurre il debito pubblico e per compensare le enormi spese pubbliche (pagate con i soldi dei contribuenti) degli ultimi mesi risultate necessarie per salvare il sistema bancario e finanziario nonché al sostegno al reddito e all’occupazione e alla mitigazione delle criticità sociali acuitesi con la crisi.
Un’altra parte del gettito verrebbe destinata in aiuti ai paesi più poveri del pianeta e rappresenterebbe una risorsa di importanza fondamentale per realizzare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2015-2030 fissati dalla comunità internazionale nel 2015.
 
 
 
L'EUROPA
UN'ANIMA DI UGUAGLIANZA
 
Fondo sociale UE per finanziare il welfare aziendale e i diritti dei nuovi lavoratori
 
In Italia i salari sono bloccati ai valori di venti anni fa: alcuni centri studio, stimano che tra il 2000 e il 2017, gli stipendi dei lavoratori dipendenti siano aumentati di appena 400 euro, un’inezia se si considera che di mezzo c’è stata l’entrata nell’euro e la crisi economico-finanziaria del 2008. Nel frattempo, lo Stato sociale è andato definitivamente in crisi. Quindi meno soldi e meno servizi. Il futuro non appare migliore, quindi lo Stato avrà sempre meno risorse e le aziende saranno sempre più in difficoltà.
Visto che per aumentare gli stipendi serve una ripresa economica bella forte, nel frattempo, cosa possiamo fare per dare una mano ai lavoratori e alle loro famiglie? Dal 2016, in Italia si è iniziato a parlare di welfare aziendale, ossia di un pacchetto di servizi e benefici non monetari che l’azienda offre al lavoratore per migliorarne le condizioni di vita e il benessere: si va dall’assistenza sanitaria integrativa ai trasporti casa-lavoro, passando per assicurazioni, mutui e finanziamenti, ma anche sport e cultura. I benefici che possono essere inseriti nel welfare aziendale sono numerosi. Sino ad ora lo Stato ha investito ogni anno una cifra attorno a cinquecento milioni di euro, erogati alle aziende sotto forma di defiscalizzazione. Se vogliamo migliorare davvero la vita dei lavoratori e delle loro famiglie questi soldi non bastano.
Per questo motivo proponiamo che dei 101 miliardi stanziati dall’UE nel periodo 2021-2027 per il Fondo Sociale Europeo Plus, una quota significativa (per l’Italia almeno 1,5 miliardi) sia destinata a finanziare interventi di welfare aziendale. Il ruolo positivo dell’Europa nella vita dei lavoratori deve diventare concreto e tangibile: se l’asilo dei bambini lo paga l’Europa sarà più semplice riannodare il legame tra le istituzioni e i cittadini. Non vogliamo, però, che questa proposta si trasformi in un semplice trasferimento di fondi europei, e quindi pubblici, alle aziende per cui chiediamo di vincolare gli stanziamenti ad accordi con i sindacati, con le autorità di gestione dei fondi (le Regioni) e con gli enti delegati alla gestione delle politiche sociali sul territorio. In questo modo, sarà possibile rafforzare anche il potere di negoziazione nei confronti di chi vende i servizi e sarà possibile incardinare le iniziative nel welfare territoriale, coinvolgere anche le aziende più piccole e vigilare sull’effettiva erogazione dei benefici ai lavoratori.
Finanziare il welfare aziendale con i fondi strutturali dell’UE è una proposta fattibile nel breve periodo poiché esistono già degli schemi operativi, sperimentati su piccola scala in Piemonte e Lombardia. Avvicinare l’Unione Europea alla quotidianità delle persone significa che direttamente l’UE interviene sulla qualità del lavoro in termini sostanziali e non solo teorici.
 
 
Welcoming Europe
 
Le Acli sono convinte che la mobilità umana è ormai un fenomeno strutturale. Pertanto l’immigrazione non può che essere affrontata in modo organico e a livello globale. Ecco perché l’Europa deve fare la sua parte ed elevarsi ad un Unione sociale, oltre che economica e politica. In questa cornice, le Acli hanno aderito alla Campagna Welcoming Europe, un’ICE (iniziativa dei cittadini europei) che ha tre obiettivi: creare passaggi sicuri per i rifugiati, decriminalizzare la solidarietà, proteggere le vittime di abusi.
Nel dettaglio, i cittadini firmatari della petizione intendono supportare i rifugiati con programmi di sponsorship chiedendo alla Commissione Europea di offrire un sostegno diretto ai gruppi locali e/o alle associazioni della società civile che aiutano i rifugiati beneficiari di un visto d’ingresso. Inoltre, la cittadinanza europea, convinta che nessuno (né singoli, né associazioni) debba essere multato o chiamato in giudizio per aver offerto assistenza e rifugio a scopo umanitario, chiede che la Commissione fermi tutti quei governi che criminalizzano la solidarietà e i loro attori, volontari e ong. Infine, nella convinzione che ogni persona debba avere pieno accesso alla giustizia, i cittadini europei chiedono che la Commissione garantisca procedure, norme e misure idonee a tutelare le vittime di sfruttamento sul lavoro, quelle cadute nella trappola della criminalità organizzata e quanti hanno subito violazioni dei diritti umani mentre tentano di varcare i confini dell’Europa.
 
Vi è inoltre la questione della redistribuzione degli immigrati che arrivano attraverso il Mediterraneo, salpando in Italia, Grecia e Spagna e che non può più essere sottaciuta. Quasi mai le persone che arrivano in Italia ambiscono a restarvi, eppure rimangono indissolubilmente legati al Belpaese per la mancata riforma del Regolamento di Dublino. Oggi si può parlare di due tipi di ricollocamento. C’è la cosiddetta “relocation”, un meccanismo adottato dall’UE tra il 2015 e il 2017, volto a redistribuire i migranti fra paesi membri in base a quote prefissate, per alleggerire la pressione degli sbarchi – allora molto numerosi - su Italia e Grecia. Tuttavia tale meccanismo non ha funzionato: su circa 100.000 migranti che dall’Italia e dalla Grecia dovevano essere ricollocati, soltanto un terzo è stato effettivamente accolto negli altri paesi dell’Unione Europea. Infatti, la maggior parte delle nazioni dell’Europa dell’Est si sono rifiutate di ospitare i migranti, altre ne hanno accolti meno rispetto a quanto pattuito.
 
Lo stesso atteggiamento vige nella ricollocazione degli ultimi mesi, che è diversa da quella precedentemente descritta. Si tratta di una relocation concertata di volta in volta per trovare una soluzione alle navi militari, commerciali e delle ong che salvano vite umane e che sono costrette a navigare per giorni senza trovare un porto sicuro in cui poter attraccare. Questi accordi, su cui è facile soprassedere perché sono stretti verbalmente al momento dello sbarco, creano problemi politici e crisi diplomatiche che fanno male innanzitutto ai migranti, ma anche alla stessa Unione, poiché mostra tutta la sua fragilità democratica, umanitaria e sociale. Siamo fuori tempo massimo per agire: le Acli sostengono che il Regolamento di Dublino deve essere cambiato quanto prima.
 
 
Introduzione del transnational labor citizenship
 
Tale soluzione prende spunto da alcuni studi nordamericani e consiste in una speciale forma di regolazione della mobilità geografica per ragioni economiche. In particolare, il lavoratore migrante riceverebbe il visto Tlc solo se è inserito in programmi di formazione nel paese di origine. Ciò obbligherebbe il migrante, successivamente all’ingresso in Europa, a svolgere un’ulteriore periodo di formazione professionale nell’ambito del lavoro svolto. Oltre a recuperare le competenze già acquisite nel Paese di origine, la formazione dovrebbe essere programmata e certificata secondo gli standard europei. I lavoratori muniti di visto Tlc avrebbero la possibilità di ottenere la residenza permanente e, eventualmente, la cittadinanza. In Italia un ruolo importante, nell’ambito dell’analisi del fabbisogno di manodopera specializzata e formata da inserire nei programmi di accesso Tlc, potrebbe essere svolto anche dagli istituti tecnici superiori e dall’università, in cooperazione con associazioni sindacali e datoriali. I principi su cui si fonda tale proposta intendono combinare la formazione professionale con la protezione del migrante nonché la collaborazione istituzionale di governi e organizzazioni con una forma di mobilità più semplice e controllabile. L’effetto potrebbe coincidere con la garanzia delle prestazioni sociali e una visione solidale sul futuro dei lavoratori migranti nel nostro contesto sociale.
 
 
 

 

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